LA LEGGE MOTOSEGA
LA LEGGE MOTOSEGA
Più che una legge sembra uno scherzo di carnevale tardivo, un carnevale che brucerà a lungo però. Un carnevale che rischia di vedere trasformata l’Italia in un’immensa centrale a biomasse.
Prima che verrà licenziato il decreto che attuerà la legge di revisione e armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali, ci sentiamo di esprimere il nostro parere.Ci è difficile comprendere come una cosa buona possa essere trasformata in una cattiva.L’attività legislativa in materia dovrebbe sempre avere una finalità prioritaria: il miglioramento dell’ambiente in cui viviamo.Il nostro patrimonio forestale ci è invidiato dal mondo perché, nella conservazione della biodiversità, oltre alla garanzia di un filtro naturale al sempre crescente impatto antropico, garantisce attrattiva turistica e salute.Questa legge, così come si avvia ad essere scritta, contraddice la propria stessa vocazione.
Nello schema di decreto legislativo si premette il proposito di “tutelare e valorizzare il patrimonio forestale, il territorio e il paesaggio nazionale, nella salvaguardia ambientale, e richiamando la lotta al cambiamento climatico” in quanto “bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future”. Per poi contraddire punto per punto quella premessa illuminante fino a ridurla ad un lumicino esiguo. L’inghippo è determinato dalla spinta che questa legge si accinge a dare all’economia legata allo sfruttamento delle biomasse e non proprio alla salvaguardia ambientale. Il discorso non può prescindere dalla premessa che non puoi attuare la lotta al cambiamento climatico se metti a regime un meccanismo che apre un’autostrada alla combustione di legna e suoi derivati. La nostra esperienza nel contrasto alle centrali a biomasse, lungi dall’essere una forma di integralismo tout court, ci ha portati alla conoscenza del loro forte impatto ambientale, soprattutto se impiegate indiscriminatamente. Dobbiamo distinguere tra necessità e profitto se vogliamo comprendere ciò che è buono da ciò che buono non è. Purtroppo in Italia, l’incentivo legalizzato e indiscriminato alla combustione di biomasse, essendo stata artatamente inclusa nel circuito delle energie rinnovabili, per inseguire la quota del 35% definito dall’Europa, prima di rispondere alle necessità dei cittadini e dell’ambiente in cui essi vivono, rispondono alle esigenze di profitto dei privati. Questa legge così come è strutturata ne è la prova. Ciò premesso, la legge forestale prossima alla scrittura, che alcuni, tra scienziati ed esperti prima di noi, hanno definito legge tagliaboschi (non la Boschi che pensate), è priva innanzitutto di due elementi fondamentali: la zonizzazione e la concertazione tra tutte le parti interessate. Zonizzazione significa individuazione delle aree più consone all’applicazione della legge, considerando che si parla di aree vastissime, di un territorio qual è quello italiano, variegato per differenze imponenti e caratterizzato da un unico grosso fattore comune: la fragilità idrogeologica, da Palermo ad Aosta, per citare il De Andrè della Domenica delle salme. Concertazione significa confrontarsi con gli esperti, discutere con i portatori di interesse ed in ultimo anche con chi vive le tantissime realtà territoriali dentro e in prossimità di boschi e foreste. A tal proposito, rispetto alla legge forestale, è quantomeno significativo, che si sia levata un’indignazione corale da parte della comunità scientifica legata alle scienze forestali, culminata in un appello di cui vi invitiamo alla lettura. Con questa legge, la selvicoltura, che è “il complesso delle scienze forestali, che insegna a trarre il maggior utile possibile dai terreni boschivi” , viene eletta a sistema dell’intero patrimonio forestale dello Stato, “fatti salvi i territori già tutelati per subentrati interessi naturalistici”. In più, a dare maggiore definizione all’indirizzo di questa legge, ci sono due elementi che, come una motosega preventiva, ampliano le misure di intervento sia ai terreni agricoli abbandonati sia ai boschi che hanno “superato il turno”, tra l’altro equiparandoli tra loro. Con il fenomeno dell’industrializzazione sin dall’inzio del secolo scorso, un’ampia area della superficie italiana, con l’abbandono della terra da parte delle masse rurali, che andavano a popolare le città, si è trasformata in boschi. Ebbene tutti questi boschi saranno messi al servizio di un profitto indiscriminato. Potrebbe anche succedere che in questa categoria rientrino boschi ancora più vetusti, per il sol fatto di essere cresciuti in aree precedentemente coltivate dall’uomo. Ci sono poi boschi in cui gli alberi sono originati da rinnovazione gamica, gestiti dall’uomo, con una crescita lenta e turni lunghi. Qualora questi turni fossero superati la nuova legge forestale prevede che vengano messi in produzione, ignorando che “anche se gestiti, sono ecosistemi auto-sostenuti e, in assenza di attività silvicolturali, evolvono in modo autonomo con caratteri che ne aumentano i servizi ecosistemici associati”. La legge tra le finalità di cui vorrebbe farsi tramite promuoverebbe azioni di difesa idrogeologica: ma come? Riducendo a dismisura il freno più importante per quelle azioni di difesa? Il bosco preserva la vita della fauna selvatica, migliora la qualità delle acque, implementa la fertilità della terra e scongiura frane, smottamenti e dissesti, quando l’intervento dell’uomo è calibrato e orientato alla conservazione e non al mero profitto. Ne sanno qualcosa, e ancora ne pagano il conto, i tedeschi, che propendendo per unasilvicoltura artificiale a massimo reddito, nel secolo scorso, hanno ottenuto “un regresso di fertilità, un peggioramento delle condizioni fisiche del suolo, l’indebolimento generale della vegetazione e invasioni di parassiti animali e vegetali”. Sin dall’antica Grecia si conosceva il ruolo fondamentale dei boschi e delle foreste ed è ampissima la letteratura a riguardo fino ai giorni nostri. Basterebbe studiare un pochino se ce ne fosse la voglia. Ma non è finita. La legge prevede la trasformazione delle aree boschive in cambio di compensazioni (valutate da chi?) o indennizzi per la loro distruzione, per interventi di “valorizzazione socio-economica” di ogni tipo: strade, fabbricati, insediamenti industriali etc. La critica non ci impedisce di avere l’estremo sogno di un sistema virtuoso , possibile solo quando vi saranno risorse tali da far sì che gli impianti siano al diretto servizio energetico dei cittadini e questi ultimi siano essi stessi controllori delle emissioni, quasi un sistema autarchico in cui produttori, fruitori e controllori siano un’ unica entità.
Di seguito il preoccupato appello che ci viene dal mondo scientifico e della ricerca contro il nuovo testo di legge forestale. E’ rivolto a personale accademico.
Dì seguito lappello
APPELLO TECNO-SCIENTIFICO SUL NUOVO TESTO UNICO FORESTALE
Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Presidente della Repubblica
I sottoscritti professori universitari, ricercatori, scienziati ed esperti in scienze ecologiche, naturali, ambientali e forestali esprimono sconcerto e preoccupazione per lo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali in attuazione dell’articolo 5 della legge 28 luglio 2016, n. 154. ” , mirato a costituire il nuovo Testo Unico in materia di Foreste e filiere forestali.
Siamo infatti costretti a sottolineare con forza il nostro stupore per i gravi errori scientifici che informano sia alcuni principi generali, sia numerosi aspetti tecnici, del proposto Decreto, che potranno condurre a effetti deleteri sugli ecosistemi, sul suolo, sulla biodiversità e sul paesaggio.
1) Il Decreto assume, contro ogni evidenza scientifica, la necessità di una gestione selvicolturale del patrimonio forestale per la prevenzione del dissesto e degli incendi e la tutela del paesaggio. Se è innegabile che la selvicoltura è un’attività economica di enorme importanza, che non può certamente essere esclusa da tutti i nostri boschi, dobbiamo con forza sottolineare come sia infondato e paradossale attribuirle capacità di tutela contro eventi come le frane o l’erosione. Numerosi studi, condotti proprio in Italia, hanno mostrato ad esempio la forte erosione dei suoli che consegue alla gestione a ceduo dei boschi.
2) Appare gravissimo, e infondato sotto il profilo scientifico, equiparare i boschi che abbiano “superato il turno” ai terreni agricoli abbandonati (art.3, c. 2, lett. g). Infatti i boschi, anche se gestiti, sono ecosistemi auto-sostenuti e, in assenza di attività selvicolturali, evolvono in modo autonomo con caratteri che ne aumentano i servizi ecosistemici associati (p.e. qualità delle acque, conservazione del suolo e difesa dal dissesto, habitat per la fauna selvatica). I terreni agricoli, invece, sono ambienti creati artificialmente dall’uomo che richiedono un apporto continuo di energia per rimanere tali. Le conseguenze di tale confusione sulla gestione del territorio e sulla biodiversità e le funzioni degli ecosistemi sono potenzialmente irreparabili.
3) Fuori da ogni logica scientifica e dal buon senso è quanto risulta dal combinato fra l’art.12 (in base al quale le Regioni possono sostituirsi al legittimo proprietario dei terreni agricoli “incolti” per promuovere il recupero produttivo della proprietà fondiaria o per imporlo nei casi in cui non sia possibile raggiungere un accordo) e l’art.3 (che equipara i boschi che abbiano superato il turno ai terreni agricoli incolti): in pratica, le Regioni potrebbero procedere al taglio coatto di boschi il cui proprietario abbia lasciato decorrere il turno. Le conseguenze sono sconcertanti: un bosco che evolve naturalmente verso più complessi stadi ecologici e fornisce maggiori servizi ecosistemici è da considerarsi abbandonato (e quindi va tagliato). Tale risultato è completamente all’opposto del principio della incentivazione dei servizi ecosistemici che il Decreto dice a parole di voler promuovere.
4) Il Decreto fa un uso molto distorto del pagamento per i servizi ecosistemici (PES), utilizzando risorse pubbliche, che sarebbero destinate alla tutela ambientale, per sostenere alcune filiere produttive. In particolare, (art. 7, c. 10), appare molto discutibile sotto il profilo scientifico-ecologico ritenere buone pratiche forestali e assoggettabili ai PES qualunque tipo di utilizzazione forestale purché si abbia rinnovazione. Manca nella legge una prospettiva di indirizzo tecnico-scientifico finalizzata ad innovare tecniche selvicolturali a basso impatto ambientale. Di conseguenza, verrebbero pagate con i PSE anche normali pratiche selvicolturali che non implementano o mantengono i servizi ecosistemici, anzi in alcuni casi potrebbero essere causa di degrado.
5) Le opere di compensazione per eventuali eliminazioni di aree boscate secondo il Decreto non devono essere necessariamente vicine all’area sacrificata e (in base all’art.8, c.4, lett. c,d,e) potrebbero, incredibilmente, anche non essere rimboschimenti ma addirittura consistere nell’apertura di strade e simili a servizio e profitto dell’azienda stessa che ha effettuato la trasformazione. Va sottolineato che la viabilità forestale ha notevoli impatti negativi sull’erosione del suolo, sul rischio di frane e sulla biodiversità floristica e faunistica (per il fenomeno noto in ecologia come effetto margine).
6) Il decreto contempla l’eliminazione del bosco al fine di conservare paesaggi agrari in abbandono, azione scientificamente discutibile, che contrasta le naturali tendenze dinamiche degli ecosistemi, utili alla mitigazione dei cambiamenti climatici e alla tutela idrogeologica. Solo in situazioni di paesaggi storici di particolare rilievo (e a seguito di approfondite ricerche) si può pensare di contrastare la naturale evoluzione a bosco.
7) La “gestione forestale sostenibile” non può comprendere solo le attività selvicolturali, ma deve prevedere anche l’individuazione delle riserve integrali o il rilascio di isole ad invecchiamento indefinito nelle particelle utilizzate. In tutto il testo manca invece un chiaro riferimento alla zonizzazione del territorio forestale, ossia una distinzione tra boschi da destinare alla produzione e boschi che devono restare indisturbati.
Infine, dobbiamo purtroppo rilevare che molte raccomandazioni approvate dalle Commissioni parlamentari competenti, se applicate, porterebbero ad un ulteriore peggioramento della fondatezza scientifica della norma e delle sue conseguenze sull’ambiente. Infatti, rispetto allo schema originariamente trasmesso dal Governo:
-viene aggiunta una definizione di gestione attiva che rende pericolosamente confusa la distinzione rispetto alla gestione sostenibile;
-viene tolto l’obbligo di utilizzo dell’ingegneria naturalistica per poter considerare le sistemazioni idraulico-forestali come attività di gestione forestale;
-viene considerata “buona pratica forestale”, meritevole di pagamento dei servizi ecosistemici (PSE), l’ordinaria gestione del bosco governato a ceduo (un’attività che, pur legittima e tradizionale su vaste superfici, è scientificamente scorretto poter considerare fornitrice di servizi ecosistemici in quanto non porta ad un incremento del capitale naturale e dei suoi servizi, ma porta anzi a perdita di suolo, a bassi livelli di potenzialità per gli habitat faunistici e ad emissione di CO2; in tal modo inoltre non si incentiva in alcun modo il passaggio a forme di selvicoltura più sostenibili, come la conversione ad alto fusto, diversamente da quanto nello spirito del testo originario);
-vengono incluse tra le compensazioni ambientali per eventuali disboscamenti le piantagioni di alberi in ambiente urbano, che nulla hanno a che vedere con gli ecosistemi naturali.
Per tutti questi motivi, riteniamo che il governo si assuma una gravissima responsabilità ad approvare il D.Lgs. in chiusura di legislatura, in assenza di un ampio e ponderato dibattito scientifico; chiediamo pertanto la sospensione dell’iter del decreto, o in subordine che esso venga riveduto tenendo conto di quanto espresso sopra.