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16 ottobre 2014

Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi
e, p.c.,
al Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi
al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Gianluca Galletti
al Ministro dell’Economia e Finanze, Pietro Carlo Padoan
al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin
al Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini

Lettera Aperta

La Strategia Energetica Nazionale

Caro Presidente,

siamo un gruppo di docenti e ricercatori dell’Università e dei Centri di ricerca di Bologna. In virtù della conoscenza acquisita con i nostri studi e la quotidiana consultazione della letteratura scientifica internazionale, sentiamo il dovere di esprimere la nostra opinione sulla crisi energetica e sul modo di uscirne.

Definire le linee di indirizzo per una valida Strategia Energetica Nazionale è un problema complesso, che deve essere affrontato congiuntamente da almeno cinque prospettive diverse: scientifica, economica, sociale, ambientale e culturale. I punti fondamentali dai quali non si può prescindere sono i seguenti:

1) E’ necessario ridurre il consumo di energia, obiettivo che deve essere perseguito mediante un aumento dell’efficienza energetica e, ancor più, con la creazione  di una cultura della parsimonia, principio di fondamentale importanza per vivere in un mondo che ha risorse limitate.

2) La fine dell’era dei combustibili fossili è inevitabile e ridurne l’uso è urgente per limitare l’inquinamento dell’ambiente e per contenere gli impatti dei cambiamenti climatici. Ridurre il consumo dei combustibili fossili, che importiamo per il 90%,  significa anche ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese da altre nazioni.

3) E’ necessario promuovere, mediante scelte politiche appropriate, l’uso di fonti energetiche alternative che siano, per quanto possibile, abbondanti, inesauribili, distribuite su tutto il pianeta, non pericolose per l’uomo e per l’ambiente, capaci di colmare le disuguaglianze e di favorire la pace.

4) Le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale di energia, come molti vorrebbero far credere: oggi producono il 22% dell’energia elettrica su scala mondiale e il 40% in Italia, dove il fotovoltaico da solo genera energia pari a quella prodotta da due centrali nucleari.

5) La transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili sta già avvenendo in tutti i Paesi del mondo. In particolare, l’Unione Europea ha messo in atto una strategia basata sui punti sopra elencati (il Pacchetto Clima Energia 20 20 20, l’Energy Roadmap 2050).

L’Italia non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera, un settore dove il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia. Sviluppando le energie rinnovabili e le tecnologie ad esse collegate il nostro Paese ha un’occasione straordinaria per trarre vantaggi in termini economici (sviluppo occupazionale) e ambientali dalla transizione energetica in atto.

Purtroppo la Strategia Energetica Nazionale, che l’attuale governo ha ereditato da quelli precedenti e che apparentemente ha assunto, non sembra seguire questa strada. In particolare, il recente decreto Sblocca Italia agli articoli 36-38 facilita e addirittura incoraggia le attività di estrazione delle residue, marginali riserve  di petrolio e gas in aree densamente popolate come l’Emilia-Romagna, in zone dove sono presenti città di inestimabile importanza storica, culturale ed artistica come Venezia e Ravenna, lungo tutta la costa del mare Adriatico dal Veneto al Gargano, le regioni del centro-sud e gran parte della Sicilia.

Il decreto attribuisce un carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, semplifica gli iter autorizzativi, toglie potere alle regioni e prolunga i tempi delle concessioni con proroghe che potrebbero arrivare fino a 50 anni. Tutto ciò in contrasto con le affermazioni di voler ridurre le emissioni di gas serra e, cosa ancor più grave, senza considerare che le attività di trivellazione ed estrazione ostacolano e, in caso di incidenti, potrebbero addirittura compromettere un’enorme fonte di ricchezza certa per l’economia nazionale: il turismo. D’altra parte il decreto non prende in considerazione la necessità di creare una cultura del risparmio energetico e più in generale della sostenibilità ecologica e non semplifica le procedure che ostacolano lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Il mancato apporto, quantitativamente marginale, delle nostre riserve di combustibili fossili potrebbe essere facilmente compensato riducendo i consumi. Ad esempio, mediante una più diffusa riqualificazione energetica degli edifici, la riduzione del limite di velocità sulle autostrade, incoraggiando i cittadini ad acquistare auto che consumino e inquinino meno, incentivando l’uso delle biciclette e dei mezzi pubblici, trasferendo gradualmente parte del trasporto merci dalla strada alla rotaia o a collegamenti marittimi e, soprattutto, mettendo in atto una campagna di informazione e formazione culturale, a partire dalle scuole, per mettere in luce i vantaggi della riduzione dei consumi individuali e collettivi e dello sviluppo delle fonti rinnovabili rispetto al consumo di combustibili fossili e ad una estesa trivellazione del territorio.

L’unica via percorribile per stimolare una reale innovazione nelle aziende, sostenere l’economia e l’occupazione, diminuire l’inquinamento, evitare futuri aumenti del costo dell’energia,  ridurre la dipendenza energetica dell’Italia da altri Paesi, ottemperare alle direttive europee concernenti la produzione di gas serra e custodire l’incalcolabile valore paesaggistico delle nostre terre e dei nostri mari consiste nella rinuncia definitiva ad estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili e in un intenso impegno verso efficienza, risparmio energetico, sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy.

Nella speranza che si possa aprire un costruttivo dibattito sui problemi riportati in questo appello, con uno spirito di leale e piena collaborazione auguriamo a Lei e al Suo Governo un proficuo lavoro per il bene della Nazione.

Il Comitato Promotore
Vincenzo Balzani (coordinatore), Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università
Nicola Armaroli, Istituto ISOF-CNR
Alberto Bellini, Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università
Giacomo Bergamini, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università
Enrico Bonatti, ISMAR-CNR
Alessandra Bonoli, Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, dell’Ambiente e dei Materiali, Università
Carlo Cacciamani, Servizio IdroMeteoClima, ARPA
Romano Camassi, INGV
Sergio Castellari, Divisione servizi climatici, CMCC e INGV
Daniela Cavalcoli, Dipartimento di Fisica ed Astronomia, Università
Marco Cervino, ISAC-CNR
Maria Cristina Facchini, ISAC-CNR
Sandro Fuzzi, ISAC-CNR
Luigi Guerra, Dipartimento di Scienze dell’Educazione «Giovanni Maria Bertin», Università
Giulio Marchesini Reggiani, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università
Vittorio Marletto, Servizio IdroMeteoClima, ARPA
Enrico Sangiorgi, Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università
Leonardo Setti, Dipartimento di Chimica Industriale, Università
Micol Todesco, INGV
Margherita Venturi, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università
Stefano Zamagni, Scuola di Economia, Management e Statistica, Università
Gabriele Zanini, UTVALAMB-ENEA

LA POSIZIONE DI NUOVO SENSO CIVICO SULL’ENERGIAATTRAVERSO LE RISPOSTE AL QUESTIONARIO GOVERNATIVO SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: PROPOSTE, NON SOLO PROTESTE.

Nel mese di novembre 2012 abbiamo aderito all’invito del governo Monti di rispondere al questionario sulla SEN (Strategia Energetica Nazionale) da loro proposta e nella quale abbiamo subito intravisto dei gravi pericoli per il futuro del nostro Paese e soprattutto dell’Abruzzo, indirizzato ancora una volta ad una devastante deriva petrolchimicacontro la quale ci batteremo come leoni fino alla vittoria finale, qualunque sia il governo che la propone.

Le risposte al questionario che vi proponiamo più sotto rappresentano anche la posizione di Nuovo Senso Civico  sul tema generale dell’energia, sulle sue problematiche e spesso sui suoi inganni spacciati per verità che coprono colossali interessi economici quasi sempre in stridente contrasto con le vocazioni, gli indirizzi e gli interessi propri delle comunità che dovrebbero ospitare, loro malgrado e senza essere state interpellate, questi interventi stravolgenti ed impattanti sotto ogni punto di vista, sanitario, economico, ambientale e sociale.

 

QUESTIONARIO GOVERNATIVO SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: LE RISPOSTE DI NUOVO SENSO CIVICO

  Il questionario ed i documenti che illustrano le intenzioni strategiche governative non sono il massimo della chiarezza ed anzi ci sono sembrati quasi un modo per scoraggiarne la partecipazione.

Ma sapete bene che non ci lasciamo demotivare tanto facilmente specie se si sostiene di voler “incrementare e sviluppare la produzione nazionale di idrocarburi, sia gas che petrolio” e di “semplificare gli iter autorizzativi” perchè gli investimenti sono stati “limitati in questi anni da un contesto normativo e da un processo decisionale che hanno rallentato o fermato molte iniziative.”

Se poi aggiungiamo il ruolo destinato all’Abruzzo l’orizzonte si fa maledettamente scuro: “In Abruzzo, dove hanno sede alcune delle principali società di servizio in ambito petrolifero, le attuali sedi potrebbero essere utilizzate come basi logistiche per lo sviluppo di nuove attività estrattive nel Sud Italia.”

Da brivido.

Ma naturalmente non c’è solo il petrolio ed il discorso abbraccia tutto il campo energetico (finte rinnovabili come biomasse e biogas e poi quelle vere, mobilità e trasporti, ecc.).

Pertanto qui di seguito vi sottoponiamo le articolate risposte di NSC ad alcuni dei quesiti fornendo una panoramica  sulle nostre posizioni e proposte in argomento.

Se volete potete trarne qualche spunto, ma l’importante è che si faccia sentire la nostra voce per non ritrovarci tra qualche anno, a nostra insaputa, massacrati per conto terzi.

Forza e avanti tutta!   

(in blu le domande del questionario)

Gli obiettivi 

C1. La definizione degli obiettivi principali implica delle scelte di trade-off con altri obiettivi di politica energetica perseguibili. Quali eventuali obiettivi diversi dovrebbe indirizzare la SEN, tenendo conto del contesto internazionale e del punto di partenza del Paese?

Le priorità 

C2. Le priorità di azione proposte rappresenteranno le aree di maggior attenzione di politica energetica nel medio periodo. Di quali eventuali diverse priorità dovrebbe tenere conto la SEN per garantire il raggiungimento degli obiettivi definiti per il settore?

GLI OBIETTIVI DIVERSI PERSEGUIBILI E LE NOSTRE PRIORITA’

Premessa

Il primo dato da cui partire è che l’Italia ha una sovra-offerta di energia elettrica, dato ulteriormente accentuato dall’attuale gravissima crisi economica di sistema.

Basta collegarsi sul sito dell’operatore Terna per averne la conferma in tempo reale seguendo i grafici aggiornati ogni quindici minuti: in Italia la potenza elettrica installata (ovvero la potenza massima erogabile dalle centrali) è pressocchè doppia rispetto alla richiesta.

Le autorevoli conferme a questo dato sono molteplici e certamente non solo di parte.

E’ la stessa Confindustria ad affermare che l’Italia “è un Paese che ha una sovracapacità ormai strutturale di produzione elettrica di oltre il 30%” (fonte: QualEnergia.it – 20 luglio 2012).

Agostino Re Rebaudengo, Presidente dell’APER (Associazione Produttori Energie Rinnovabili) dichiara: “L’Italia negli ultimi 10-15 anni ha registrato ancora grandi investimenti in impianti tradizionali per la produzione di energia. Il risultato, un po’ assurdo è che noi attualmente abbiamo una capacità produttiva in grado di fornire il doppio dell’energia elettrica che consumiamo. Gli impianti a gas e petrolio funzionano spesso al 40% delle loro capacità.Devo dire che tuttora cerco di comprendere, e non ci riesco, con quali criteri gli operatori continuano a investire in centrali alimentate a metano.” (fonte: Sette Green/Corriere della Sera – 22 marzo 2012).

Chiunque di noi, girando per l’Italia, può osservare decine e decine di pale eoliche ferme perché non c’è adeguata richiesta di energia (secondo alcune stime è attualmente inattiva una pala eolica su quattro).

La prima conclusione è quindi che, per quanto riguarda l’energia elettrica, l’Italia non ha bisogno di ulteriori fonti di approvvigionamento per il suo fabbisogno.

Naturalmente c’è poi il discorso di capire, all’interno di questo fabbisogno, come rimodulare il peso delle varie fonti e questo lo affronteremo più avanti.

Primo obiettivo: il risparmio energetico, la riduzione degli sprechi e la modifica degli stili di vita e di consumo.

Il mezzo più importante per ridurre la nostra dipendenza energeticasoprattutto dalle fonti più inquinanti e nocive per l’ambiente e la salute umana quali quelle fossili (petrolio, carbone, gas naturale) è sicuramente il risparmio energetico: nelle attuali condizioni critiche sia ambientali che economiche l’uso dell’energia deve essere ridotto piuttosto che aumentato. Programmi di risparmio energetico e riduzione progressiva dei consumi inutili ed eccedenti sono quasi sempre di facile e immediata attuazione se vi è la volontà politica a monte e la capacità di rendere consapevoli e partecipi le comunità sui benefici collettivi che ne conseguono. Va altresì sottolineato che molte opere e infrastruttture nel campo energetico hanno risvolti occupazionali minimi (l’ENI qualche anno fa dichiarò 27 nuovi addetti a pieno regime per una nuova raffineria in cantiere) e spesso la loro realizzazione determina risvolti molto negativi per le altre attività economiche tradizionali di zona che vengono danneggiate da questi interventi. La petrolizzazione della Lucania ne è un esempio lampante con il soffocamento dei comparti economici tradizionali quali quello agricolo, vitivinicolo o del turismo, oltre ai forti impatti in termini di salute. Questa sfortunata regione, che ospita due tra le raffinerie più grandi d’Europa, resta sempre tra le zone più depresse nelle classifiche economiche continentali.

Il discorso del risparmio energetico va affrontato in parallelo con quello della modifica degli stili di vita e di consumo che significa in questo caso riduzione dei rifiuti e delle conseguenze negative derivanti dalla loro sovrabbondanza.Anche in questo versante il governo centrale dovrebbe intervenire con leggi severe che riguardino la riduzione degli imballaggi, gli obblighi di raccolta differenziata spinta porta a porta, l’incentivazione di impianti e strutture quali quella attiva a Vedelago in Trentino (che dà complessivamente lavoro a diecimila persone) di recupero, riciclo e riuso dei rifiuti in modo da evitare la strada deleteria delle discariche e degli inceneritori con tutte le conseguenze negative in termini di salute, economia e conflittualità con le comunità locali.

Come si può evincere il discorso dei rifiuti si intreccia strettamente con quello dell’energia e pertanto vanno affrontati insieme in un’ottica complessiva che per entrambi abbia come premessa la riduzione a monte.

Secondo obiettivo: rimodulare il peso delle varie componenti energetiche favorendo le fonti davvero pulite e rinnovabili (fotovoltaico, solare, eolico, trattamento meccanico biologico a freddo delle biomasse, idroelettrico, ecc.) che vanno valutate nelle forme di installazione privilegiando quelle piccole e diffuse, realizzate alle migliori condizioni tecnologiche e di sostenibilità sostituendole gradualmente a quelle fossili tradizionali.

Le fonti fossili inquinanti, destinate all’esaurimento ed ecomicamente sempre più insostenibili, di certo non vanno rilanciate in ambito nazionale ma progressivamente abbandonate in favore di quelle davvero rinnovabili e più pulite facendo però molta attenzione a come queste ultime vengono pensate e realizzate, in quali condizioni e soprattutto se rientrano davvero in questa categoria (come il caso scottante delle centrali a biomasse e biogas che approfondiremo in seguito).

Riteniamo che in ordine di importanza vadano sostenute le fonti da fotovoltaico e solare termico (molto adatte alle condizioni climatiche italiane), l’energia eolica, l’energia idroelettrica, la produzione di biometano attraverso il trattamento meccanico biologico a freddo delle biomasse.

Naturalmente anche in questo campo bisogna sempre seguire con attenzione gli aggiornamenti della comunità scientifica internazionale che possono dare utili indicazioni favorevoli o meno rispetto alle scelte perseguite. Un caso clamoroso al riguardo è quello della combustione delle biomasse che rientra tuttora tra le fonti rinnovabili ma che viene seriamente messa in discussione oltre che nel versante scientifico anche a livello politico europeo per le recenti acquisizioni che ne stanno dimostrando tutti gli effetti negativi in termini di salute, di inquinamento e di impatto sul bilancio dei gas-serra immessi in atmosfera (vedi bibliografia allegata).

Bisogna quindi sempre fare attenzione ai metodi di progettazione e installazione anche per quelle fonti che attualmente riteniamo le più auspicabili.

Ad esempio per i pannelli fotovoltaici scegliamo sempre l’installazione sui tetti delle abitazioni, degli edifici pubblici o dei capannoni industriali meglio ancora se contemporaneamente andiamo a bonificare con la sostituzione delle coperture in amianto. Evitiamo il più possibile di metterli a terra, soprattutto nelle campagne dove vanno a sfrattare vigneti e uliveti procurando così un inutile inaridimento dei terreni.

Scegliamo per tutte le fonti le soluzioni più piccole, diffuse e meno impattantiche esistono. Documentandosi adeguatamente ce ne sono anche per l’energia eolica o idroelettrica.

Capitolo a parte quello scottante delle biomasse e del biogas che ha rivelato parecchi retroscena molto negativi alcuni dei quali legati all’incentivazione distorsiva dei certificati verdi (finanziati da tutti gli utenti attraverso le bollette elettriche) indirizzata esclusivamente alla produzione di energia elettrica, ignorando completamente l’energia termica.

Negli ultimi anni moltissimi studi scientifici di alto livello (vedi bibliografia allegata) sia internazionali che nazionali, tra i quali quelli sviluppati dal prof. Federico Valerio, direttore del dipartimento di chimica ambientale dell’Istituto di Ricerca sul cancro di Genova, hanno messo pesantemente in discussione la qualifica di fonte rinnovabile pulita attribuita alla produzione di energia in queste centrali.  E’ stato dimostrato che, nel loro ciclo di vita completo e a causa delle modalità con le quali vengono realizzate, nella stragrande maggioranza dei casi costituiscono una fonte altamente inquinante che peggiora il bilancio di gas serra emessi in atmosfera ed il cui rendimento è molto scarso (se non ci fossero gli incentivi statali nessun imprenditore si butterebbe in un’impresa del genere) perché, specie nelle varianti  a combustione diretta, viene bruciato e disperso in atmosfera attraverso i fumi il 60%-65% di energia prodotta non contemplando accorgimenti per il suo recupero attraverso reti di teleriscaldamento e teleraffreddamento, oppure, nel caso delle centrali a biogas, la depurazione dello stesso per ricavarne biometano da immettere direttamente nella rete metanifera nazionale o la trasformazione in combustibili liquidi da utilizzare per la trazione veicolare.

Nel caso delle biomasse, soprattutto lignee-cellulosiche, stanno vacillando perfino le certezze della Comunità Europea: lo scorso 20 marzo il Parlamento Europeo ha chiesto che le regole di calcolo delle emissioni di carbonio siano revisionate per quanto concerne le biomasse perché ci si è resi conto che esiste uno sfasamento tra il debito di carbonio causato dal taglio di un albero che viene poi trasportato e bruciato e il tempo necessario per la crescita di un nuovo albero in grado di assorbire tanto carbonio quanto il precedente il che porta a concludere che la combustione delle biomasse non fa altro che aumentare le concentrazioni di Co2 in atmosfera peggiorando così l’effetto serra e contribuendo all’alterazione del clima globale e andando in definitiva a minacciare gli obiettivi europei di riduzione di Co2. Viene messa in discussione anche la biomassa da residui di rifiuti compostati e agricoli che può alterare la fertilità dei suoli, causare un maggior uso di fertilizzanti, lo sperpero di grandi quantità d’acqua e in definitiva rese più basse.

Recentemente (agosto 2012) un rapporto pubblicato dall’”Accademia Nazionale delle Scienze tedesche Leopoldina”, molto critico sull’uso delle biomasse a fini energetici, ha concluso che la loro combustione, oltre ad altri effetti collaterali negativi, è molto poco ecologica e non contribuisce alla riduzione delle emissioni di Co2 in atmosfera come possono fare i più utili sistemi eolici e fotovoltaici oppure l’efficienza energetica.

Se non vengono rispettate una serie di specifiche condizioni che quasi mai si realizzano proprio a causa della redditività legata agli incentivi statali (condizioni che elencheremo in seguito) queste sono le principali cause che sconsigliano l’installazione di centrali a biomasse o biogas:

  • Tali centrali, in misura variabile in base alle tecnologie e soluzioni adottate, sviluppano sostanze altamente inquinantitra le quali le polveri sottili e ultrasottili, gli ossidi di azoto e di carbonio, i furani, i metalli pesanti, l’ozono e in particolare 4 sostanze ufficialmente classificate “cancerogene” dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) quali il benzene, la formaldeide, le diossine e gli idrocarburi policiclici aromatici.La pericolosità di questi composti non è dovuta solo alla loro concentrazione nell’aria inalata ma anche alla loro deposizione sul suolo ed all’accumulo crescente nella catena alimentare. L’inquinamento deriva anche dal trasporto su camion di queste biomasse che nella maggioranza dei casi provengono da centinaia se non migliaia di km. di distanza (come il caso dell’olio di palma dall’Indonesia responsabile della deforestazione in quelle zone proprio per fare posto alle coltivazioni dedicate a questo commercio) in barba all’auspicabile “filiera corta” ed alla presunta risoluzione di problemi locali di smaltimento di scarti alimentari o liquami zootecnici.
  • Per quanto riguarda le centrali a biogas alimentate a mais, oltre all’aspetto etico di coltivare un alimento da destinare alla combustione, c’è da rilevare come occorrano enormi quantità di terreni dedicati allo scopo, che andranno seminati e trattati chimicamente con un uso dissennato di d fertilizzanti e antiparassitari che inquinano essi stessi, minano la fertilità dei terreni e consumo enormi quantità d’acqua ottenendo come corollario quello di stravolgere e compromettere l’intera agricoltura tradizionale che vedrà ridotti i suoi spazi e la sua qualità dalla prepotenza di questa concorrenza insostenibile. Contro questo tipo di deriva si è pronunciato ultimamente, in un’intervista a “La Repubblica” del 9 maggio 2012, il fondatore di “Slow Food” Carlo Petrini, una delle personalità italiane più ascoltate e apprezzate nel mondo, il quale ha tra l’altro segnalato che “forse non è un caso che la Regione Emilia Romagna nelle sue linee guida abbia vietato gli impianti a biogas nei territori dove si produce il Parmigiano Reggiano”.  Qui entra pesantemente in gioco il fattore economico che impone scelte molto nette e una ferrea scala di priorità;
  • Infatti le centrali a biomasse e biogas provocano un danno economico alle comunità ospitanti per i risvolti inquinanti che possono danneggiare le attività circostanti non solo agricole ma anche di trasformazione alimentare o della ricettività turistica (agriturismi, alberghi ecc.), per l’invasività e concorrenza nelle coltivazioni, per un svalorizzazione dei patrimoni immobiliari circostanti quali case, terreni e proprietà varie;
  • I rischi di incidenti sono molto elevati come dimostrano alcuni recenti “report” sulle centrali a biogas in Germania dove nonostante i controlli dal 2010 sono stati registrati quasi 100 incidenti con gravi episodi di inquinamento, sversamenti, esplosioni e incendi che hanno causato diversi feriti oltre ai danni ambientali (vedi elenco in allegato). I tedeschi stanno dimostrando di voler abbandonare progressivamente il biogas e non vorremmo che quelle tecnologie, diventate ormai obsolete, venissero dirottate in Italia con tutte le conseguenze del caso;
  • I risvolti occupazionali diretti sono minimi e sicuramente non riescono a compensare la perdita di posti di lavoro indotta da queste installazioni sulle attività di zona incompatibili.

Per qualificare correttamente questi tipi di impianti come fonti davvero rinnovabili e sostenibili e proporle in alcuni casi come soluzioni alternative andrebbero rispettate alla lettera una serie di condizioni che andiamo ad elencare:

  • Che la filiera sia davvero corta nel senso che con queste installazioni si vada a risolvere un problema locale effettivo e preesistente di smaltimento di scarti alimentari, vegetali o di bestiame di tale quantità da rappresentare un serio problema in zona;
  • Che le centrali non siano realizzate a combustione diretta altamente inquinante ma vengano previsti i cosiddetti impianti TMB (Trattamenti Meccanici Biologici) a fermentazione anaerobica a freddo, ossia senza combustione, con la depurazione e trasformazione del biogas in biometano che può essere sia immesso direttamente nella rete metanifera nazionale (migliorandone la bolletta complessiva con la riduzione delle importazioni) che utilizzato con un’apposita rete per il teleriscaldamento e il teleraffreddamento per gli edifici pubblici e privati circostanti permettendo così lo spegnimento e l’eliminazione di tante singole caldaie ed il raggiungimento di un miglioramento nel bilancio totale delle emissioni (e dell’inquinamento) e di benefici anche di natura economica per gli utenti.
  • Che l’installazione di questo tipo di impianti vada a migliorare le condizioni complessive della qualità dell’aria mediante la sostituzione e lo spegnimento di fonti maggiormente inquinanti. Qui interviene la Comunità Europea con la direttiva 96/62/CE, recepita dall’Italia con D.L. n°351 del 4/8/99, che all’articolo 1 individua tra i suoi obiettivi quello di “mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri casi”.
  • Occorre infine un ripensamento sugli incentivi in modo che essi vadano a premiare solo le tecnologie più avanzate e rispettose dell’ambiente, allarghino il loro campo d’azione dalla produzione di energia elettrica a quella termica in modo da favorire forme di recupero del calore che altrimenti andrebbe in grandissima parte disperso in atmosfera attraverso i fumi con conseguenze negative in termini di inquinamento e danni alla salute degli esseri viventi. Gli incentivi andrebbero anche destinati alla ricerca ed all’industria per la realizzazione di tecnologie all’avanguardia che potrebbero essere esportate con risvolti positivi sulla bilancia commerciale e l’economia nazionale in genere.

L’efficienza energetica 

C6. Quali ulteriori barriere hanno impedito finora una più ampia diffusione di soluzioni di efficienza energetica e quali possibili azioni e strumenti (esistenti o nuovi) possono essere lanciati? Come rendere più efficace il sistema dei controlli sugli standard e sulla qualità dei servizi (i.e. le certificazioni degli immobili) senza generare costi e nuovi forme di burocratizzazione?

Il punto di partenza irrinunciabile da cui trarre ogni tipo di conclusione è che l’intero paesaggio italiano, da nord a sud, è in condizioni di grave dissesto idro-geologico che lo rendono estremamente vulnerabile, come dimostrano i ricorrenti drammatici eventi alluvionali.

Questa condizione è l’esito prevedibilissimo di decenni di cementificazioni selvagge, condoni edilizi a grappolo, erosione selvaggia dei suoli e mancate politiche di prevenzione e manutenzione. Lo stesso governo Monti sembra adesso rendersene conto vista la proposta di legge del ministro Catania detta appunto “salva suoli”.

Si pensi che nel solo Abruzzo negli ultimi 10 anni c’è stato un tasso di crescita della cementificazione del 9%, superiore a quelli della Lombardia (8%) e del Veneto (7,3%).

La mancata prevenzione rappresenta non solo un danno ambientale e umano evidente ma incide pesantemente sulle casse dello Stato e sul bilancio della Sanità nazionale perché gli interventi emergenziali posteriori sono molto più onerosi ed assai meno efficaci rispetto ad una oculata e previdente programmazione.

E’ proprio da questa che si deve ripartire per una grande campagna di riassestamento paesaggistico e di ristrutturazione edilizia che limiti il più possibile nuove inutili costruzioni ma vada ad intervenire sul risanamento e l’efficientamento sotto ogni punto di vista (strutturale, energetico, di compatibilità ambientale) degli immobili già esistenti, pubblici e privati.

Per quanto riguarda gli strumenti tecnici o le modalità per simili interventi non crediamo sia difficile attingere alle innumerevoli esperienze già in atto in altri paesi europei o extra-europei. Possiamo soltanto suggerire uno degli interventi che vanno senz’altro effettuati per primi, ossia la bonifica delle coperture e delle strutture in amianto attraverso forme intelligenti di incentivo che propongano lo scambio tra l’amianto ed i pannelli fotovoltaici in modo che l’eliminazione di questo materiale altamente cancerogeno non rappresenti un’impresa dai costi insostenibili per le famiglie e continui a restare un incubo nel paesaggio italiano (vedi deterioramento o smaltimenti abusivi e incontrollati).

Per quanto riguarda i rischi di burocratizzazione è vero che le procedure devono essere sicuramente snellite ma senza perdere di vista un adeguato esame e controllo degli interventi per impedire tutti gli abusi che si sono verificati negli anni per verifiche frettolose o incompetenti.

Lo sviluppo dell’Hub del gas 

C9. Si concorda con l’esigenza di aumentare la capacità di importazioneattraverso lo strumento delle “Infrastrutture Strategiche”? Quanta nuova capacità sarebbe necessaria e con quale tempistica? Quali i criteri di selezione?

C10Aumento della liquidità sulla borsa gas: quali strumenti più idonei per favorire lo sviluppo di una borsa gas liquida e competitiva e incentivare lo spostamento di volumi significativi di gas verso di essa?

C11. Opportunità e rischi di una progressiva migrazione nell’approvvigionamento da un mercato legato a contratti di lungo periodo a un mercato spot. Quale è il migliore mix tra i due nella situazione italiana?

La risposta all’argomento dello sviluppo dell’Italia come Hub del gas per l’Europa dev’essere allargata ad una prospettiva molto più ampia che riguarda le peculiarità nazionali e le forme migliori e più proficue per esaltarle e valorizzarle.

Non crediamo che il percorso preferibile sia quello di trasformare l’Italia in una “autostrada del gas” per l’esportazione attraverso la realizzazione di grandi opere di stoccaggio e metanodotti in zone pericolose e sismiche (come quella di Sulmona in Abruzzo) a tutto beneficio di altre nazioni o degli speculatori del momento.

Queste opere oltretutto (alla pari di quelle petrolifere) vanno a danneggiare proprio le maggiori ricchezze nazionali che si chiamano bellezza del paesaggio, storia, cultura, tradizioni, eccellenze vitivinicole e gastronomiche che dovrebbero essere il perno fondamentale per l’esportazione dell’immagine dell’Italia nel mondo e l’irresistibile forza di attrazione che comporta anche un arricchimento nazionale senza controindicazioni.

L’Abruzzo, definito “regione verde d’Europa”, ha scelto da anni una strada legata alla valorizzazione delle sue bellezze naturalistiche e storiche e delle sue eccellenze ad esempio nel campo vitivinicolo e gastronomico e su questo ha orientato i suoi investimenti e la sua legislazione regionale: stravolgere tutto questo trasformandolo in distretto petrolchimico e delle energie rappresenta una scelta insensata che porterebbe molti più danni che vantaggi.

Le rinnovabili elettriche 

C12. La Strategia prevede un continuo supporto agli investimenti in rinnovabili, seppure con livelli di incentivo ridotto rispetto al passato (e con un governo più attento dei volumi). Sono auspicabili scelte diverse? In quale direzione?

Sulla ridefinizione degli incentivi vedere parte della risposta ai quesiti 1 e 2.

Le rinnovabili termiche 

C13. In aggiunta agli incentivi economici, quali ulteriori strumenti a supportoda valutare per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili termiche?

Vedere la parte della risposta ai quesiti 1 e 2 relativa a teleriscaldamento e teleraffreddamento.

Le rinnovabili nei trasporti 

C14. Quali possibili misure per favorire lo sviluppo della seconda e terza generazione di biocarburanti? Quali interventi per far sviluppare una filiera europea?

Analogamente al discorso sull’energia e sui rifiuti anche in questo settore bisogna fare una doverosa premessa da cui discende tutto il resto: non è più sostenibile un modello di sviluppo fondato sulla corsa al consumo esasperato e su attività e comportamenti inutilmente energivori.

Anche per quanto riguarda i trasporti e la mobilità bisogna privilegiare politiche di riduzione degli sprechi e di rimodulazione dei modelli di mobilità che vadano a scoraggiare un uso eccessivo e inutile del mezzo motorizzato privato a vantaggio di soluzioni meno nocive sulla salute delle persone e dell’ambiente dal trasporto pubblico a tutte quelle soluzioni già adottate o in via di adozione in tanti paesi europei ma anche nelle città italiane più virtuose quali ad esempio l’estensione delle zone pedonalizzate e delle piste ciclabili  con le soluzioni ad esse collegate (bike-sharing ossia scambio di bici pubblichetrasporto combinato treno-bicicletta, ecc), car-pooling (condivisione di auto) car-sharing(scambio di auto), parcheggi di scambio ed intermodalità, progressiva elettrificazione dei mezzi di trasporto, progressiva sostituzione del parco mezzi pubblico in direzione di veicoli meno inquinanti, incentivazione di scelte orientate all’”impatto zero”, ecc., in modo da rendere più sani, vivibili e attraenti i luoghi della nostra vita sociale.

L’Italia è, dopo gli Stati Uniti, la nazione con il più alto rapporto di auto per abitante con la differenza che in America dispongono di territori sconfinati mentre il nostro è piccolo, accidentato e con le più alte densità di popolazione al mondo.

Vogliamo ricordare che recentemente il Centro Internazionale di Ricerca sul cancro dell’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) ha stabilito ufficialmente che i gas di scarico dei motori diesel sono causa certa dello sviluppo del cancro del polmone e con ogni probabilità di quello alla vescica attraverso l’emissione soprattutto delle polveri sottili e del monossido di azoto. Analogo discorso si può fare per i mezzi a benzina con studi scientifici altrettanto documentati e di alto livello. Sempre l’OMS ha stabilito scientificamente la correlazione tra abbassamento dei livelli di polveri sottili nel’aria e l’aumento della speranza di vita delle persone.

Se poi diamo uno sguardo all’ultimo “Report 2012” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente sulla qualità dell’aria nei paesi dell’Unione nel quale l’Italia risulta maglia nera per sforamento delle emissioni di polveri fini ed ultrafini, allora vediamo come sia obbligata la scelta di una graduale ma decisa riduzione dell’uso spesso eccessivo ed inutile dell’uso del mezzo privato a vantaggio di altre scelte di mobilità meno nocive.

In quest’ottica è valutabile l’uso per autotrazione del biometano generato dagli impianti TMB di Trattamento Meccanico Biologico a freddo dei quali abbiamo parlato nella risposta ai quesito n°1 e n°2.

Sviluppo delle infrastrutture e del mercato elettrico 

C15. Si condividono le principali sfide delineate per il settore? Quali ulteriori iniziative si suggeriscono di adottare per affrontare tali sfide?

C16. Il documento considera strategico un  riequilibrio delle prospettive di valorizzazione dei cicli combinati a gas, attraverso azioni per rendere competitivo sui mercati esteri l’attuale surplus di potenza (riduzione del costo per la termoelettrica, integrazione dei mercati dell’energia e dei servizi). Quali altre azioni si ritengono necessarie? Le prospettive di policy sul contenimento della CO2 possono costituire un elemento significativo o un’area di azione su cui puntare?

Rispetto all’esportazione di energia altre dovrebbero essere le strade italiane legate alle sue peculiarità: non siamo e non vogliamo essere l’Arabia Saudita, il Texas o la Norvegia, ma abbiamo la fortuna e dovremmo avere il rispettoso orgoglio di essere l’Italia con le sue uniche, straordinarie e spesso maltrattate bellezze.

Per quanto riguarda le politiche di contenimento delle emissioni di Co2 fare riferimento alla risposta ai quesiti n°1 e 2.

La ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione carburanti 

C18Quali interventi privilegiare per la ristrutturazione e lo sviluppo del settore della raffinazione?

C19. Quale è il modello di ristrutturazione della distribuzione carburanti migliore per la realtà italiana?

Non vogliamo nessuna ristrutturazione in direzione di uno sviluppo del settore della raffinazione, ma al contrario un suo progressivo abbandono attraverso politiche di riconversione che privilegino altri campi di intervento meno deleteri e più compatibili con le nostre vocazioni nazionali.

Va evidenziato che la Norvegia, colosso mondiale nel settore petrolifero, ospita sul suo territorio molto meno popoloso e più esteso del nostro solo 2 raffinerie, mentre l’Italia ne ha 18!

Il rilancio della produzione nazionale di idrocarburi 

C20. Quali sono le azioni/iniziative, a livello nazionale, regionale e locale da adottare per favorire un maggiore coinvolgimento delle collettività e sviluppare un processo condiviso di accettazione pubblica dei progetti minerari?

C21. Quali ulteriori azioni sono auspicabili per favorire lo sviluppo di realtà industriali locali, attraverso la costituzione di distretti tecnologici, aumentando quindi le ricadute dello sviluppo dei programmi di investimento nel settore minerario?

In continuità con la risposta ai quesiti 18 e 19 diciamo che l’Italia non solo non deve rilanciare la produzione nazionale di idrocarburi ma deve adoperarsi al più presto per abbandonare questo settore in favore dei moltri altri più puliti, maggiormente redditizi in termini economici ed occupazionali e più all’avanguardia sui quali si stanno concentrando le nazioni più evolute e lungimiranti.

Le esperienze petrolifere in Italia soprattutto nelle zone di maggior impatto (Basilicata, Sicilia, Lombardia, E.Romagna, Venezia/Porto Marghera) presentano un bilancio disastroso: diffusione di malattie e danni ambientali, incidenti, scarsi risvolti occupazionali e contrasto deleterio con altre attività produttive tradizionali di zona, ritorni economici risibili a causa delle condizioni favorevolissime tutte a vantaggio delle società proprietarie degli impianti.

Basti citare il caso delle “royalties”, ossia le percentuali sulle estrazioni che devono pagare a Stato ed enti locali le società che ottengono i permessi di ricerca e perforazione: in Italia con gli ultimi provvedimenti arrivano ad un massimo del 7% o 10% mentre in altre nazioni raggiungono il 90% del valore degli idrocarburi estratti.

Il petrolio italiano è quantitativamente scarso e di infima qualità ma rappresenta un ottimo investimento per le piccole compagnie straniere che vi investono grazie alle enormi agevolazioni fiscali ed ai meccanismi che riducono al minimo il rischio di impresa, mantendo al contrario alto quello per l’ambiente e la salute delle persone.

Le perforazioni in mare possono essere attualmente eseguite a 12 miglia dalla costa (con il dubbio ancora non risolto sulle concessioni date precedentemente quando in pratica non esistevano limiti) mentre ad esempio negli Stati Uniti il limite è di 160 km da riva.

E perché mai le collettività dovrebbero accettare progetti minerari che storicamente le hanno pesantemente penalizzate in termini di salute, di danni alle economie locali, alle colture e produzioni tradizionali, di svalorizzazione dei patrimoni immobiliari?

E’ ora di imboccare una strada radicalmente diversa.

Ecco cosa afferma il prof. Umberto Veronesi: “Per cancellare il cancro dobbiamo ridurne al minimo l’incidenza eliminando le cause. Oggi ne conosciamo molte, per esempio il fumo di sigaretta, l’essere sovrappeso, l’obesità, alcuni virus, sostanze cancerogene note come l’amianto e i combustibili fossili”. (fonte: Grazia – 8 novembre 2012)

Lo ribadisce autorevolmente anche la Chiesa cattolica attraverso un documento ufficiale del 19 ottobre 2012 della CEAM (Conferenza Episcopale Abruzzese e Molisana): “Noi, Vescovi delle Chiese che sono in Abruzzo e Molise, ancora una volta leviamo alta la voce per denunciare le ‘ferite’ delle nostre terre, minacciate da progetti di ‘sviluppo’ che sono invero segnati da gravi rischi ambientali, socio-economici e umani […]. Ci riferiamo, in particolar modo, ai progetti di sfruttamento energetico, in particolar modo petrolifero, su cui ci siamo già pronunciati come Conferenza episcopale regionale nel 2008[…]. Con l’eventuale realizzazione dei progetti di sfruttamento energetico non si sanerebbe la ferita della disoccupazione e della recessione, si accrescerebbe il senso di abbandono e di sopraffazione che le nostre genti percepiscono di fronte a chi esercita poteri decisionali, si avanzerebbe nella spoliazione del nostro ambiente naturale e della nostra economia agricola e turistica, in maniera irrevrsibile e irresponsabile. Questo compito comune [la tutela della vita e la difesa del creato, ndr] veda coinvolti tutti, in particolar modo coloro che, a livello locale, regionale e nazionale, hanno ricevuto il mandato di governare lo sviluppo del territorio, perché agiscano in nome del bene comune e non di una singola parte, prestando ascolto al grido della nostra terra, del nostro mare, del nostro cielo […].

Il maggiore coinvolgimento delle collettività non significa cercare a tutti i costi il loro consenso a scelte già prese in precedenza: le comunità interessate, anche sulla base del “trattato di Ahrus” del 1998 sottoscritto dall’Italia, devono essere interpellate e coinvolte nei processi decisionali riguardo opere ed interventi che incidono pesantemente sulla loro vita quotidiana presente e futura, attraverso tutti gli strumenti che permettano loro di valutare obbiettivamente ed esaurientemente le scelte proposte.

Mai come in questi casi non sono sopportabili imposizioni calate dall’alto con la scusa dell’interesse nazionale ma più che mai sono le realtà di base che ospiteranno gli interventi a doversi esprimere al riguardo avendo accesso a tutte le informazioni e documenti esistenti.

Ricerca e sviluppo nei settori dell’energia 

C24. In che modo sviluppare forme efficaci di partenariato pubblico-privatoe con quali strumenti?

Il pubblico deve agire soprattutto per orientare le scelte di fondo rispettando i criteri guida che si è dato e poi adottare di conseguenza politiche che incentivino o disincentivino determinate attività.

Prevenire è la forma più efficace e meno dispendiosa di autotutela quando c’è il ragionevole dubbio della dannosità di determinate scelte: è il ben noto “principio di precauzione” sancito dalla Comunità Europea e recepito dallo Stato italiano che deve rappresentare un diritto irrinunciabile di ogni Comunità in difesa del proprio benessere ed al quale ogni amministratore pubblico è in dovere di ricorrere a difesa di tutti i cittadini che rappresenta.

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