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Gli inceneritori di rifiuti sono quello che il petrolio e le fonti fossili rappresentano nel settore energetico: il passato cieco e devastante che non guarda al futuro perchè lo distrugge giorno dopo giorno.

SOMMARIO:

1) “PER NON MORIRE DI RIFIUTI” (1° aprile 2013): passi e progetti verso l’obiettivo “Rifiuti Zero” ;

2) “UN MONDO DIVERSO E’ POSSIBILE” (1° giugno 2013) : strategia e manifesto “Territorio Zero”.

1) PER NON MORIRE DI RIFIUTI

Se in mare dobbiamo difenderci dall’assalto petrolchimico, a terra le cose non vanno certo per il meglio perchè oltre agli idrocarburi subiamo l’accerchiamento sempre più asfissiante dei rifiuti.

I rifiuti sono il grande affare dei nostri tempi: non tutti giochiamo d’azzardo, non tutti ci droghiamo o alcolizziamo, non tutti acquistiamo armi di contrabbando ma sicuramente tutti produciamo rifiuti, dai neonati con i loro pannolini fino ai più anziani con i loro pannoloni.

C’è tanta trippa per gatti ma i gatti sono molto pochi e sempre gli stessi.

Bisogna tentare a tutti i costi di scardinare i soliti meccanismi deviati e corrotti che ci spingono a produrre sempre più rifiuti, ci portano preterintenzionalmente alle emergenze e cercano di costringerci alle peggiori soluzioni (discariche e inceneritori) molto lucrose per i gatti di cui sopra ma devastanti per la salute e l’economia di tutti noi misere cavie della situazione.

Esistono delle alternative credibili e realistiche che potrebbero dare uno sbocco positivo per l’intera comunità, ma forse è proprio questo il problema.

Qui di seguito pubblichiamo al riguardo un intervento illuminante del Prof. Federico Valerio: visto che anche nella nostra zona sono in corso importanti movimenti in questo settore ci permettiamo di sottoporlo a tutti, addetti ai lavori e no, come spunto di riflessione e spinta alla soluzione.

Dopo il contributo del Prof. Federico Valerio pubblichiamo alcuni documenti della strategia “Verso Rifiuti Zero” compresi i collegamenti al testo della legge di iniziaticva popolare “Rifiuti Zero”.

Trattamenti Meccanico Biologici (TMB): la carta vincente nella strategia Rifiuti Zero.

La proposta di Legge d’iniziativa popolare “Rifiuti Zero” si pone l’obiettivo, entro il 2020, di recuperare il 95% di materia, dai nostri scarti urbani. Sembra una “missione impossibile”, ma quest’obiettivo rientra nelle potenzialità di approcci metodologici innovativi già ampiamente collaudati, i Trattamenti Meccanico Biologici (TMB).

Un altro obiettivo strategico previsto dalla Legge, è quello della riduzione alla fonte: se nel 2000 ogni italiano produceva 491 chili dirifiuti, nel 2020, dovrà produrne il 20 % in meno (- 98 chili) e quindi scendere a 393 chili a testa. Anche questa non è una missione impossibile, perché l’obiettivo fissato dalla Legge non molto è lontano dall’attuale (2010) produzione pro-capite del Veneto: 488 chili/abitante.

I TMB sono definiti come trattamenti a “freddo” poiché evitano la combustione diretta degli scarti. In particolare, questi impianti utilizzano sistemi meccanici e fisici per separare e purificare diverse frazioni quali: carta e cartone, alluminio, ferro e acciaio, plastiche miste. Trattamenti meccanici più evoluti, con sensori a raggi infrarossi, sono in grado di separare gli imballaggi in plastica in base al tipo di polimero utilizzato (PET, PVC, PE, PS…).

Queste separazioni possono essere fatta a valle delle raccolte differenziate, per migliorarne la qualità e spuntare prezzi migliori sul mercato del riciclo, ma possono essere utilizzate  anche sulla frazione residuale non differenziata.

Nel 2010, a livello nazionale, abbiamo differenziato solo il 35,3%  dei nostri scarti. Poiché in questi scarti, oltre l’85% è riciclabile (in massima parte imballaggi e scarti di cucina) abbiamo buttato in discarica e negli inceneritori circa il 65% dei nostri materiali post consumo.

Poiché una tonnellata di cartone vale 93 euro nel mercato del riciclo e la plastica di qualità vale ben 276 euro a tonnellata, con le scelte attuali buttiamo via, letteralmente qualcosa come mezzo miliardo di euro all’anno.

I Trattamenti Meccanici permettono di recuperare gran parte di questa materia (inerti, vetro, metalli, cellulosa, polimeri plastici) e il loro valore monetario, da reimmettere in nuovi cicli produttivi.

Parliamo ora dei Trattamenti Biologici. In sintesi, con questi trattamenti che precedono quelli fisici, facciamo lavorare per noi batteri e microorganismi che, mangiando letteralmente i nostri scarti biodegradabili, li trasformano in innocui vapore acqueo e anidride  carbonica, con il compostaggio ed in anidride carbonica e metano (biogas) con la digestione anaerobica.

Il metano, adeguatamente purificato è indistinguibile dal metano russo o libico e può essere immesso nella rete di distribuzione del gas e nelle bombole delle autovetture a metano.

Il compost che si produce in entrambi i processi biologici è un terriccio con un alto contenuto di carbonio organico che, come ammendante, deve essere usato in agricoltura per produrre nuovo cibo e contribuire al recupero della fertilità dei nostri terreni agricoli che, dopo decenni di trattamenti chimici si stanno avviando, specialmente nell’Italia meridionale, verso la desertificazione.

Con questi trattamenti biologici si riutilizza o s’inertizza gran parte della materia organica biodegrabile presente nei nostri scarti che, sommando scarti di cucina e della preparazione di cibo, sfalci e potature, carta e cartone per usi alimentari, materia organica presente in pannolini e pannoloni, rappresentano circa il 60% dei nostri scarti urbani.

A questo punto, qualcuno potrebbe dire “ Ma perché queste scelte non le abbiano ancora fatte? Come può essere possibile evitare le emergenze rifiuti, tipo Napoli, senza l’aiuto dei termovalorizzatori?”.

La nostra risposta è che la rivoluzione “Rifiuti Zero” è possibile, poiché approvando questa Legge di Iniziativa Popolare, il Parlamento fa le scelte giuste a favore degli Italiani ed elimina una vera e propria truffa a loro danno, cominciata nel 1999.

Con il Decreto n. 79/1999, noto anche con «primo decreto Bersani», con il recepimento di normative europee a favore delle Energie Rinnovabili, è stato introdotto un nuovo sistema d’incentivazione di mercato, basato sui “Certificati Verdi” che ha sostituito il vecchio sistema d’incentivazione a sussidio, legato al Programma CIP 6/92. 

In sintesi, con denaro preso dalle bollette della luce di tutti gli Italiani, una nuova tassa del 7% applicata sui chilowattore consumati, s’incentiva la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, pagandola circa tre volte di più, rispetto al valore di mercato. Scelta condivisibile per fotovoltaico, eolico, idraulico, geotermico, fonti realmente rinnovabili e con basso impatto ambientale, se gestite con buon senso.

Peccato che, al momento dell’approvazione del Parlamento, una mano ignota abbia introdotto nella normativa europea che stavamo approvando, un codicillo, tutto italiano,  che faceva diventare, per assimilazione, i rifiuti urbani una fonte d’energia rinnovabile.

In questo modo, termo-valorizzando i rifiuti diventati combustibili “rinnovabili” si fanno grandi affari garantiti; ad esempio, nel 2004, a favore degli inceneritori, operativi nel nostro paese, sono stati erogati Certificati Verdi per 2,4 miliardi di euro.

Firmato il decreto 79/1999, gli amici degli inceneritori si sono potuti scatenare, con l’obiettivo dichiarato di realizzare un inceneritore in ogni provincia.

Poiché nessun incentivo è previsto per riciclo, compostaggio e meno che meno per politiche di riduzione forse, ora vi dovrebbero essere più chiare le vere cause delle emergenze rifiuti che, dal 1999, affliggono questo Paese.

La Legge d’Iniziativa Popolare “Rifiuti Zero” taglia alla radice questo scandaloso furto a danno degli Italiani: abolisce gli incentivi agli inceneritori e ai cementifici che usano i rifiuti come combustibili e tassa gli inceneritori, come fanno da anni, Austria, Danimarca, Svezia, per favorire il riciclo.

E, in base alla nuova Legge, gli introiti di questa tassa e di quella già in vigore per le discariche, saranno integralmente usati per finanziare gli impianti finalizzati al riuso, al riciclaggio, al compostaggio e alla digestione anaerobica. Incentivi saranno erogati anche per attivare in tutti i Comuni, sistemi di raccolta differenziata domiciliare, con tariffazione puntuale che ridurrà le spese di famiglie e aziende che differenziano i propri scarti e producono pochi rifiuti.


Finanziamenti pubblici andranno anche ai Centri di Ricerca che si specializzeranno per studiare metodi per il recupero spinto della materia. In questo modo, ad esempio, sarà possibile accelerare i tempi per rendere competitive tecniche, già note, per trasformare scarti ricchi di cellulosa (carta e cartone) e di plastiche miste, in nuove materie ad alto contenuto energetico, rispettivamente in etanolo e in gasolio, entrambi utilizzabili per l’autotrazione.

In attesa che queste tecnologie diventino mature, le frazioni separate dai TMB, ricche di cellulosa e quelle composte prevalentemente da plastiche miste non riciclabili, , potranno essere collocate, senza particolari impatti ambientali, in aree di stoccaggio temporanee che, tra qualche anno, diventeranno vere e proprie miniere di Materie Seconde ad alto valore aggiunto.

Federico Valerio

Chimico Ambientale

Comitato Tecnico-Scientifico LIP Rifiuti Zero

 Dieci passi verso Rifiuti Zero

1.separazione alla fonte: organizzare la raccolta differenziata. La gestione dei rifiuti non e’ un problema tecnologico, ma organizzativo, dove il valore aggiunto non e’ quindi la tecnologia, ma il coinvolgimento della comunità chiamata a collaborare in un passaggio chiave per attuare la sostenibilità ambientale.
2.raccolta porta a porta: organizzare una raccolta differenziata “porta a porta”, che appare l’unico sistema efficace di RD in grado di raggiungere in poco tempo e su larga scala quote percentuali superiori al 70%. Quattro contenitori per organico, carta, multi materiale e residuo, il cui ritiro e’ previsto secondo un calendario settimanale prestabilito.
3.compostaggio: realizzazione di un impianto di compostaggio da prevedere prevalentemente in aree rurali e quindi vicine ai luoghi di utilizzo da parte degli agricoltori.
4.riciclaggio: realizzazione di piattaforme impiantistiche per il riciclaggio e il recupero dei materiali, finalizzato al reinserimento nella filiera produttiva.
5.riduzione dei rifiuti: diffusione del compostaggio domestico, sostituzione delle stoviglie e bottiglie in plastica, utilizzo dell’acqua del rubinetto (più sana e controllata di quella in bottiglia), utilizzo dei pannolini lavabili, acquisto alla spina di latte, bevande, detergenti, prodotti alimentari, sostituzione degli shoppers in plastica con sporte riutilizzabili.
6.riuso e riparazione: realizzazione di centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione degli edifici, in cui beni durevoli, mobili, vestiti, infissi, sanitari, elettrodomestici, vengono riparati, riutilizzati e venduti. Questa tipologia di materiali, che costituisce circa il 3% del totale degli scarti, riveste però un grande valore economico, che può arricchire le imprese locali, con un’ottima resa occupazionale dimostrata da molte esperienze in Nord America e in Australia.
7. tariffazione puntuale: introduzione di sistemi di tariffazione che facciano pagare le utenze sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili da raccogliere. Questo meccanismo premia il comportamento virtuoso dei cittadini e li incoraggia ad acquisti piu’ consapevoli.
8. recupero dei rifiuti: realizzazione di un impianto di recupero e selezione dei rifiuti, in modo da recuperare altri materiali riciclabili sfuggiti alla RD, impedire che rifiuti tossici possano essere inviati nella discarica pubblica transitoria e stabilizzare la frazione organica residua.
9. centro di ricerca e riprogettazione: chiusura del ciclo e analisi del residuo a valle di RD, recupero, riutilizzo, riparazione, riciclaggio, finalizzata alla riprogettazione industriale degli oggetti non riciclabili, e alla fornitura di un feedback alle imprese (realizzando la Responsabilità Estesa del Produttore) e alla promozione di buone pratiche di acquisto, produzione e consumo.
10. azzeramento rifiuti: raggiungimento entro il 2020 dell’ azzeramento dei rifiuti, ricordando che la strategia Rifiuti Zero si situa oltre il riciclaggio. In questo modo Rifiuti Zero, innescato dal “trampolino” del porta a porta, diviene a sua volta “trampolino” per un vasto percorso di sostenibilità, che in modo concreto ci permette di mettere a segno scelte a difesa del pianeta.

I Comuni Italiani che hanno adottato la strategia Rifiuti Zero:
125 per un totale abitanti di 3.319.147

(nessuno, ahimè, in Abruzzo!)

aggiornato al 30/04/2013
CAPANNORI (Lucca) abitanti 46207
CARBONIA (Carbonia Iglesias) 29821
AVIANO (Pordenone) 9277
GIFFONI SEI CASALI (Salerno) 5271
VINCHIO (Asti) 677
COLORNO (Parma) 8979
SERAVEZZA (Lucca) 13449
CALCINAIA (Pisa) 11396
MONSANO (Ancona) 3223
MONTIGNOSO (Massa Carrara) 10553
LA SPEZIA 95641
VICO PISANO (Pisa) 8417
CORCHIANO (Viterbo) 3796
SOMMA VESUVIANA (Napoli) 35097
BOSCOREALE (Napoli) 26920
MONTE SAN PIETRO (Bologna) 10976
MAIORI (Salerno) 5649
COLLESANO (Palermo) 4254
FORTE DEI MARMI (Lucca) 7760
SASSO MARCONI (Bologna) 14719
MARINEO (Palermo) 6814
VILLA BASILICA (Lucca) 1789
PIETRASANTA (Lucca) 24833
BORGO A MOZZANO (Lucca) 7381
MASSAROSA (Lucca) 22933
VILLA VERDE (Oristano) 384
ALESSANO (Lecce) 6552
CORSANO (Lecce) 5693
GAGLIANO DEL CAPO (Lecce) 5485
MORCIANO DI LEUCA (Lecce) 3460
PATU’ (Lecce) 1740
SALVE (Lecce) 4708
TIGGIANO (Lecce) 2931
MIRABELLO MONFERRATO (Alessandria) 1399
CALATAFIMI SEGESTA (Trapani) 7258
SAN SEBASTIANO AL VESUVIO (Napoli) 9561
PORTICI (Napoli) 53981
TRECASE (Napoli) 9311
TORRE DEL GRECO (Napoli) 87197
BOSCOTRECASE (Napoli) 10645
UMBERTIDE (Perugia) 16890
ALCAMO (Trapani) 45835
BUSETO PALIZZOLO (Trapani) 3095
CASTELNUOVO CILENTO (Salerno) 2614
ANGUILLARA (Roma) 18882
CERVETERI (Roma) 36229
LADISPOLI (Roma) 40855
MANZIANA (Roma) 6951
ORIOLO ROMANO (Roma) 3759
TREVIGNANO ROMANO (Roma) 5949
BIANCAVILLA (Catania) 23947
SENIGALLIA (Ancona) 45027
CARRARA (Massa-Carrara) 65573
NAPOLI 959574
CASTELBUONO (Palermo) 9301
FRIGENTO (Avellino) 4017
AGEROLA (Napoli) 7456
BENEVENTO (Benevento) 62035
BASSANO in TAVERNINA (Viterbo) 1319
GALLICANO (Roma) 6058
RIGNANO FLAMINIO (Roma) 9790
CAPRANICA (Viterbo) 6673
TIVOLI (Roma) 56531
PREVALLE (Brescia) 6995
GIULIANOVA (Teramo) 23606
MODUGNO (Bari) 38826
SANT’ORESTE (Roma) 3870
CASAL VELINO (Salerno) 4995
PIANO DI SORRENTO (Napoli) 13136
CALCI (Pisa) 6513
CERIGNOLA (Salerno) 59103
SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE) 33742
MARTA (VITERBO) 3553
BINETTO (Bari) 2133
BITETTO (Bari) 11717
BITRITTO (Bari) 10881
SANNICANDRO (Bari) 9794
GIOVINAZZO (Bari) 20593
PALO DEL COLLE (Bari) 21786
GRATTERI (Palermo) 1016
PIGNATARO MAGGIORE (Caserta) 6281
PALIANO (Frosinone) 8330
SPARANISE (Caserta) 7447
AMARONI (Catanzaro) 1918
SANT’AGNELLO (Napoli) 9079
CERZETO (Cosenza) 1400
RIANO (Roma) 9902
FORMELLO (Roma) 12802
VICO EQUENSE (Napoli) 20980
PARETE (Caserta) 11007
CAPRAROLA (Viterbo) 5715
NARNI (TERNI) 20331
GIARDINI NAXOS (Messina) 9647
LUCCA 84939
BAGNI DI LUCCA (Lucca) 6528
LEVANTO (La Spezia) 5592
MONTEROTONDO (Roma) 39588
ALTAVILLA MILICIA (Palermo) 7177
CIVITA CASTELLANA (Viterbo) 16777
PARMA 186690
CRESCENTINO (Vercelli) 8086
CROVA (Vercelli) 423
FONTANETTO PO (Vercelli) 1242
SAN GERMANO VERCELLESE (Vercelli) 1784
SANTHIA’ (Vercelli) 8994
TRONZANO VERCELLESE (Vercelli) 3598
TERLIZZI (Bari) 27290
CAPURSO (Bari) 15411
MANZIANA (Roma) 7124
CIVITANOVA MARCHE(Macerata) 40816
PORTO VENERE (La Spezia) 3906
POLLENZA (Macerata) 6617
MANTOVA 48612
RIPOSTO (Catania) 14932
TORRE ANNUNZIATA (Napoli) 43699
MANOPPELLO (Pescara) 6952
GREVE IN CHIANTI (Firenze) 14351
SAN GIOVANNI LUPATOTO (Verona) 24214
FIGLINE VALDARNO (Firenze) 17050
PORTOGRUARO (Venezia) 25440
APRILIA (Latina) 70349
ORISTANO (Oristano) 32015
MONTALBANO ELICONA (Messina) 2488
SARONNO (Varese) 39161
NOCERA INFERIORE (Salerno) 45707

SINTESI DELLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE PER I “RIFIUTI ZERO”.
Le finalità generali del  presente disegno di legge di iniziativa popolare si fondano sulle seguenti linee direttrici:

  1. far rientrare il ciclo produzione-consumo all’interno dei limiti delle risorse del pianeta
  2. rispettare gli indirizzi della Carta di Ottawa, 1986
  3. rafforzare la prevenzione primaria delle malattie attribuibili a inadeguate modalità di gestione dei rifiuti
  4. assicurare l’informazione continua e trasparente alle comunità in materia di ambiente e rifiuti
  5. riduzione della produzione dei rifiuti del 20% al 2020 e del 50% al 2050 rispetto alla produzione del 2000;
  6. recepire ed applicare la Direttiva quadro 2008/98/CE
  7. recepire ed applicare il risultato referendario del giugno 2011sull’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali

Per perseguire le suddette finalità, il presente progetto di legge contiene una serie di misure finalizzate a:

  1. Promuovere e incentivare anche economicamente una corretta filiera di trattamento dei materiali post-utilizzo
  2. spostare risorse dallo smaltimento e dall’incenerimento verso la riduzione, il riuso e il riciclo
  3. contrastare il ricorso crescente alle pratiche di smaltimento dei rifiuti distruttive dei materiali
  4. ridurre progressivamente il conferimento in discarica e l’incenerimento
  5. Sancire il principio “chi inquina paga” prevedendo la responsabilità civile e penale  per il reato di danno ambientale
  6. Dettare le norme che regolano l’accesso dei cittadini all’informazione e alla partecipazione in materia di rifiuti
  7. Introdurre forme di cooperazione tra Comuni per la raccolta porta a porta e la filiera di trattamento al fine di sviluppare l’occupazione locale in bacini di piccola-media dimensione, che favoriscano le attività di produzione e commercializzazione di materiali e prodotti derivati da riciclo e recupero di materia.

PER VISIONARE IL TESTO INTEGRALE DELLA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE “RIFIUTI ZERO” E PER TUTTE LE INFORMAZIONI IN ARGOMENTO CLICCARE SUI SEGUENTI LINK: http://www.leggerifiutizero.it/ e http://www.rifiutizerocapannori.it/rifiutizero/ 

2) UN MONDO DIVERSO E’ POSSIBILE: NASCE IL MANIFESTO “TERRITORIO ZERO” DOVE ZERO E’ UN VALORE E NON IL NULLA  ( 1 giugno 2013 )

La tremenda crisi che stiamo attraversando non è solo di natura economica ma anche di valori, diritti, giustizia e, in fondo, di felicità.

La maggior parte di coloro che ci indicano la via per uscire da questo stato di cose ripropongono gli stessi schemi e ricette che ci hanno portato sull’orlo del baratro e spesso anzi sono fisicamente i principali artefici del disastro.

E’ l’ora di prospettare un percorso radicalmente diverso, più rispettoso delle persone e dell’ambiente nel quale vivono, più equo e lungimirante, che guardi serenamente al lungo periodo e non sia fatto di rapina immediata come l’attuale.

Non è una prospettiva utopica o evanescente ma assai concreta, pratica e razionale. Direi quasi naturale.

Un’elaborazione concreta di questa strategia virtuosa è data dal “MANIFESTO TERRITORIO ZERO” promosso ed elaborato dal Professor Livio De Santoli e dall’economista Angelo Consoli ed ispirato agli studi e le proposte di Carlo Petrini (km. zero), Jeremy Rifkin (emissioni zero) e Paul Connet (rifiuti zero).

Dove “Zero”, come capirete bene, è un valore primario e non un segno del nulla o della distruzione. Al contrario, in mezzo a tanti numeri che ci hanno condotto alla catastrofe, è l’unico approdo possibile per un futuro più umano.

FM

(IN FONDO AL POST INDICHIAMO IL COLLEGAMENTO PER FIRMARE IL “MANIFESTO ZERO”. Possono farlo sia singoli cittadini che Amministrazioni pubbliche: ad oggi hanno già aderito Provincia di Catania, Provincia di Potenza, Comune di Nettuno, Comune di Cerveteri,Comune di Capannori, Comune di Ascoli Satriano, Comune di Altavilla Milicia, Comune di Rieti e Comune di Fiano Romano.)

“TERRITORIO ZERO”

Manifesto per una società a emissioni zero, rifiuti zero e chilometro zero

Introduzione
Territorio Zero è un manifesto che impegna chi lo sottoscrive a realizzare un programma di sviluppo territoriale rispettoso delle risorse naturali in una visione innovativa; TerritorioZero contiene un programma politico-amministrativo, fondato su basi tecnico-scientifiche, che suggerisce soluzioni operative alle nuove generazioni di amministratori degli enti locali.
Con la sottoscrizione del Manifesto di TerritorioZero si assume l’impegno di affrontare tutte le tematiche territoriali (ambientali, agricole, energetiche, urbanistiche, sociali, economiche) secondo una visione unitaria e olistica, proiettata nel secolo e nel millennio che stiamo vivendo, sovversiva rispetto alle politiche esistenti legate alle logiche del passato.
Il modello economico della seconda rivoluzione industriale è entrato in una crisi strutturale fortemente intrecciata con le crisi energetica, climatica e ambientale fino a rappresentare una minaccia per la civiltà come la conosciamo. La devastazione dei territori e delle risorse naturali (terra, acqua, aria, salute pubblica), si accompagna al progressivo affermarsi di una società estremamente diseguale ed una economia concentrata nelle mani di pochi. Lo sfruttamento delle fonti energetiche convenzionali presuppone una altissima intensità di capitali ed una progressiva e definitiva espulsione del fattore umano dai processi produttivi. Il modello esistente, nato con la geopolitica e le commodities della seconda rivoluzione industriale ha espropriato le comunità locali della possibilità di controllare i propri destini economici, perché le ha private della sicurezza di accesso all’energia, al cibo, all’acqua, ai beni comuni, e in definitiva di qualunque speranza per il futuro, introducendo nel senso comune la rassegnazione all’idea che l’inquinamento, le emissioni di gas serra, la produzione di rifiuti, la mercificazione dei beni comuni, la distruzione dei saperi agricoli tradizionali siano pedaggi da pagare per un non meglio precisato “progresso”.
Per agire efficacemente sulle cause (e non solo sugli effetti) di tale modello distorto bisogna uscire dalla logica del profitto e della concentrazione della ricchezza, sia nell’ambito industriale (grandi fabbriche, grandi centrali), che in quello agricolo (coltivazioni intensive basate su prodotti chimici) e della distribuzione (grandi centri commerciali e consumismo esasperato con incremento esponenziale della produzione di rifiuti), e abbracciare un modello di sviluppo olistico, caratterizzato da tecnologie ad alta intensità di lavoro ed a bassa intensità di capitali e di profitti. Questo nuovo modello di sviluppo si basa su una idea di società in cui emissioni, rifiuti, speculazioni sui beni agricoli, sull’economia reale, consumo del territorio e distruzione del valore/lavoro vengano progressivamente ridotti a zero.
Per questo lo abbiamo battezzato TerritorioZero e riteniamo che esso possa essere garantito solo da soggetti nuovi e non da quelli che hanno creato la crisi che stiamo vivendo: le comunità locali, le piccole e medie imprese, che creano ricchezza distribuita e conferiscono protagonismo agli enti locali, alla rete dell’associazionismo democartico e riassegnano un ruolo attivo e responsabile a ciascun individuo.
TerritorioZero permette di programmare le attività economiche a livello locale secondo: 
1) un nuovo modello energetico distribuito che permetta di raggiungere la necessaria massa critica a partire dalle fonti rinnovabili secondo uno schema di rete e di comunità.
2) un nuovo modello agricolo basato sulla de-carbonizzazione dei processi produttivi e la valorizzazione delle produzioni locali di qualità fornendo ai coltivatori un accesso diretto al mercato per i loro prodotti ed un reddito decoroso.
3) un nuovo modello per la chiusura del ciclo di vita dei prodotti che crei le attività miranti a incoraggiare e realizzare pratiche di risparmio, riciclo e riuso secondo i principi di “rifiuti zero”, mettendo in moto nuove attività di raccolta e di creazione di filiere del ciclo dei prodotti.
4) Un nuovo modello urbanistico che non consenta più consumo di territorio, ma che riqualifichi e migliori le condizioni delle strutture esistenti.
TerritorioZero mette in moto, a partire dal livello locale, una nuova dinamica di promozione dell’economia reale, in opposizione a quella virtuale e speculativa, mirante a valorizzare la produzione effettiva di beni e servizi per la comunità, attraverso la riduzione della varie forme di criticità prodotte dal modello esistente: le emissioni climalteranti, i rifiuti, l’intermediazione parassitaria, la disoccupazione, la devastazione del territorio.

Agricoltura ed energia a chilometro zero
L’attuale instabilità del sistema economico sta avendo pesanti ripercussioni anche sul sistema produttivo primario dell’agricoltura, che necessita di un ripensamento non più in termini di comparto, ma di una visione più ampia: tecnica, ambientale, sociale, culturale oltre che economica.
In particolare al posto del controvalore finanziario del processo e del prodotto, dovrà essere considerata la componente sociale, identitaria e territoriale, in grado di diffondere gli effetti positivi su una superficie più grande del solo fondo di produzione. Le categorie agricole conoscono l’importanza di progettare un nuovo modello di sviluppo tenendo conto del rispetto delle risorse naturali, di un rinnovato rapporto tra città e agricoltura, di un equilibrio tra urbanizzazione e ruralità e non si sottraggono al compito di considerare in questo modello di sviluppo l’aspetto dell’innovazione, dell’integrazione tra saperi e tra generazioni diverse e diversi strati sociali.
Collegate all’agricoltura sono comprese le seguenti tematiche:

– la difesa e messa in sicurezza del territorio

– la valorizzazione del paesaggio e di conseguenza del turismo,

– la definizione di attività di agricoltura in città,

– l’incentivazione ed il potenziamento delle imprese agricole con particolare riferimento all’inserimento dei giovani nelle attività agro produttive,

– la programmazione energetica applicando all’ambiente e alle attività agro produttive tecnologie ecocompatibili.

L’interesse per le agro-energie non deve diventare sostitutivo delle attività agricole, anzi deve risultare come motore di un loro nuovo sviluppo.
In particolare, riguardo a quest’ultimo punto, i principi fondamentali per un rapporto coerente tra agricoltura ed energia in termini di compatibilità e sviluppo sono:

La valorizzazione del territorio
Ciò innanzitutto significa non depauperare le risorse quantitative e qualitative del suolo.
L’agroenergia deve essere intesa come il recupero di una capacità imprenditoriale e quindi produttiva di beni, non in contrasto con la missione alimentare della produzione agricola, che in un paese ricco di biodiversità come l’Italia, è di grande qualità. La produzione di agroenergie non deve intaccare le aree forestate, le aree ricche di biodiversità ma sostenere le pratiche agricole sui terreni degradati o non più destinati al settore agroalimentare.

Il ciclo di vita dei prodotti
Occorre puntare sull’utilizzo di scarti e sottoprodotti. Questi diventano approvvigionamento energetico gratuito o a basso costo. Sono catalogabili come tali: i rifiuti organici, i liquami zootecnici, i sottoprodotti delle lavorazioni zootecniche, la sansa da olio, i materiali di scarto lignocellulosici e i residui agro-forestali. La scelta di tali elementi come origine della filiera energetica ha due aspetti in termini di convenienza: un primo puramente economico ossia la valorizzazione di materia di approvvigionamento a costo trascurabile o nullo; un secondo energetico, ossia il miglioramento del processo produttivo in termini di efficienza e risparmio energetico e minore inquinamento, soprattutto se impostato localmente a favore delle aziende agricole.

L’organizzazione gestionale della filiera corta e cortissima
Secondo questo principio, lo sviluppo rurale necessita un nuovo coinvolgimento della forza lavoro del Paese. Vengono individuati nuovi modelli di comunità, di gruppi consortili, cooperative per una vicinanza della filiera a livello sociale, territoriale e di indotto economico. Lo spostamento del business energetico deve avvenire dall’industria ai gruppi di agricoltori come supporto alla fondamentale attività di produzione alimentare. Ciò significa tenere conto in sede di valutazione le ricadute socio-economiche sul territorio. Dunque non un sistema composto di grandi impianti isolati, di proprietà di pochi industriali, ma un modello di rete di impianti di piccola taglia, che coinvolga l’apparato produttivo agricolo diffuso sul territorio nel concetto di filiera corta.
Analogamente alla promozione del principio di sovranità alimentare [1], si parlerà quindi di sovranità energetica, con particolare riferimento al settore agricolo ed alla costituzione di Comunità dell’Energia[2].

La gestione della chiusura virtuosa del ciclo dei prodotti
La crisi sistemica dell’attuale momento storico è conseguenza diretta della avidità e complicità, pigrizia e incompetenza della politica nell’affrontare organicamente e con visione strategica i grandi temi propri della società contemporanea.
L’esempio dei rifiuti come simbolo di una società dei consumi è quello più evidente.
Il concetto di rifiuto nasce con la seconda rivoluzione industriale e rappresenta la differenza tra ciò che si produce e ciò che si consuma, differenza che ci viene imposta in modo significativo, perché direttamente collegata al nostro grado di soddisfazione. Nella logica capitalistica postmoderna l’atto di consumo perfetto non può recare soddisfazione se non istantanea, cioè “i beni dovrebbero soddisfare nell’immediato e la soddisfazione dovrebbe cessare immediatamente, non appena esaurito il tempo necessario al consumo”[3]. Nella società dei consumi l’atto del consumo può addirittura essere eliminato perché non indispensabile, fino a raggiungere paradossalmente lo spreco integrale e sostituire in definitiva alla società dei consumi una “civiltà dei rifiuti”. Il problema della produzione di rifiuti non può essere semplicemente risolto con adeguate tecnologie di smaltimento, la questione è anche di natura culturale.
Qualunque provvedimento frutto della logica consumistica non potrà mai essere risolutivo perché destinato ad agire solo sugli effetti e non sulle cause del problema. Anche in questo caso, occorre conferire protagonismo agli enti locali e alla piccola e media impresa legata al territorio, alla rete dell’associazionismo democratico oltreché riassegnare un ruolo attivo e responsabile al singolo individuo.
Il concetto che lega la responsabilità di una comunità a quella dell’industria nel settore dei rifiuti viene identificato nella strategia proposta da Paul Connett conosciuta come “rifiuti zero”, che propone accanto alle pratiche della comunità (riuso, riciclo, riparazione) quelle dell’industria (progettazione e realizzazione di prodotti e imballaggi) finalizzate alla drastica riduzione del rifiuto.

Schematicamente è possibile riassumere la strategia Rifiuti Zero [4], rielaborandola per la parte energetica, nelle seguenti fasi:
– strutturare un sistema di raccolta che aumenti la quantità di materiale differenziabile, ottimizzandone al tempo stesso la qualità e diminuendo contestualmente la quantità di rifiuti prodotti;
– incentivare il riuso del materiale riciclato, la riparazione di oggetti e operare scelte di vita che diminuiscano la percentuale di scarti;
– sostenere la progettazione e la produzione di prodotti totalmente riciclabili, riutilizzabili e riparabili
– valorizzare dal punto di vista energetico la frazione organica del rifiuto attraverso la produzione di biogas.

E’ stato calcolato che l’applicazione effettiva dei punti citati permetterebbe una riduzione dell’indifferenziato fino alla quota del 15% del rifiuto urbano.
Tutto questo si inserisce pienamente nella struttura socio-economica delle Comunità dell’Energia [2]. Infatti, gli obiettivi che si possono realizzare sono quelli propri della decentralizzazione e diffusione sul territorio:
– la realizzazione di un nuovo modello sociale di gestione dei rifiuti che significa autosufficienza locale e comportamento virtuoso;
– la realizzazione di un risparmio economico dei cittadini attraverso un mix virtuoso di: tariffa rifiuti, bollette di gas ed elettricità, costi smaltimento di rifiuti e scarti;
– la realizzazione di politiche di recupero energetico, incluso l’obbligo da parte della amministrazione pubblica di occuparsi direttamente della frazione organica, anche attraverso la produzione di biogas.

Le amministrazioni locali potranno ottenere un più alto livello di indipendenza attraverso le tecnologie utili a realizzare strategie energetiche conformi alle direttive europee [5] e potranno mirare ad un nuovo sistema socio-economico sostenibile. Gli enti locali possono realizzare uno scenario rifiuti zero a patto di seguire paradigmi che prescindano definitivamente dal solo conferimento in discarica e dall’incenerimento.
Il nuovo modello sociale di gestione proposto rende il cittadino partecipante attivo delle politiche di decisione e gestione. Il cittadino riveste il ruolo di primo operatore ecologico ed essendo coinvolto in prima persona sia da un punto di vista operativo, attraverso le pratiche della separazione domestica dei rifiuti, che da un punto di vista ecologico, grazie al miglioramento delle condizioni di vita e ambientali rese possibili da un ciclo di gestione dei rifiuti virtuoso incentrato sulla partecipazione e la difesa del suolo. In questo senso i cittadini titolari di un merito di tipo “partecipativo” saranno destinatari di politiche di agevolazione economica attraverso tariffe di rifiuti e bollette energetiche.

La generazione distribuita dell’energia come nuovo modello energetico
L’ampliarsi della generazione distribuita da fonti rinnovabili e la diffusione di nuovi impianti di medie-piccole dimensioni (anche in ambito domestico) presuppone un ripensamento radicale nel modello di distribuzione dell’energia. Un cambiamento di modello energetico rispetto a quello tradizionale di tipo centralizzato che vede nella città il luogo ideale per effettuare la necessaria transizione operativa. Le città – sede della maggior parte delle emissioni e dei consumi energetici, luoghi dove è concentrato il 70% del PIL mondiale – sono obbligate a mettere in atto interventi innovativi sull’efficienza energetica e sono in grado di contribuire a formulare politiche energetiche anche nel panorama nazionale.
Il programma sull’energia prevede che tutte le azioni siano organicamente inserite in una logica di generazione distribuita dell’energia:

– le azioni di mobilità sostenibile
– le applicazioni con energie rinnovabili, anche integrate negli edifici
– le applicazioni della cogenerazione e della microcogenerazione
– le azioni per l’efficienza energetica
– i piani di recupero urbanistico

Nella amministrazione di un ente locale occorre un coordinamento trasversale tra lavori pubblici, attività produttive, ambiente, mobilità, politiche agricole con lo scopo di mettere in pratica il Sustainable Energy Action Plan (SEAP, Piano di Azione dell’Energie Sostenibili) del Covenant of Mayors (Patto dei Sindaci, programma della Comunità Europea [6]). Gli enti locali che non hanno aderito al Patto dei Sindaci lo devono sottoscrivere nei primi cento giorni di governo e devono attuarlo entro il 2020.
TerritorioZero è un programma che per essere efficacemente adottato e realizzato presuppone una “cabina di regia” unificata, ad esempio attraverso la costituzione di un “assessorato ai beni comuni” o un “assessorato alle politiche agricole ed ambientali” in cui far confluire le competenze sull’ambiente, energia, agricoltura, acqua, in segno di forte discontinuità con le politiche ambientali e di green economy esistenti. Infatti una green economy che non sia strutturata secondo le dinamiche della produzione distribuita dell’energia e si basi solo su grandi impianti rinnovabili (wind farms, solar parks etc) non si discosta molto dalla “black economy” in termini di efficienza produttiva, redistribuzione della ricchezza, creazione di impiego e democrazia energetica e dunque non favorisce la prosperità del territorio e degli enti locali che lo amministrano.

Edifici ad energia zero (Zero Energy Buildings)
La politica europea ha imposto agli Stati Membri il rispetto di livelli prestazionali per l’efficienza energetica degli edifici, non solo riferiti ad edifici energeticamente autonomi, ma anche e soprattutto a edifici collocati in un contesto urbano, assegnando alle Pubbliche Amministrazioni ed al loro patrimonio immobiliare un ruolo molto rilevante.
Si stima che l’applicazione delle disposizioni comunitarie consenta al settore dell’edilizia un risparmio 2 miliardi di tonnellate di CO2 e di 1,5 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente di energia, con quote significative per l’edilizia residenziale (65%).
La Direttiva 2010/31/EU identifica l’edificio a “energia quasi zero” come un edificio ad altissima prestazione energetica, con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo che dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili e dispone che:

  1. a) entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione siano edifici a energia quasi zero; 
    b) a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questi ultimi siano edifici a energia quasi zero.

L’Unione Europea ha stabilito che per realizzare questo obiettivo è necessario che ogni Paese Membro si doti di un piano di azione nazionale per l’efficienza energetica per individuare entro il 2020 una strategia nazionale.
Per gli edifici di nuova costruzione gli Stati membri devono garantire sistemi di fornitura energetica decentrati (la generazione distribuita dell’energia) basati su energia da fonti rinnovabili, cogenerazione, teleriscaldamento o teleraffreddamento urbano o collettivo, pompe di calore.
Da qui appare chiaro il ruolo delle pubbliche amministrazioni che devono garantire prestazioni energetiche degli edifici tali da soddisfare i requisiti minimi di prestazione energetica fissati conformemente alla Direttiva.
Attuare una politica di diffusione degli edifici ad energia quasi zero significa contestualmente risolvere una serie di problemi territoriali, quali i vincoli con i gestori delle infrastrutture energetiche locali, che pone l’ente locale a dover programmare politiche energetiche a medio termine. La realizzazione su larga scala di tali edifici necessita di una struttura energetica fondata su un modello diverso da quello esistente e pertanto anche la diffusione degli edifici ad alta prestazione energetica non può quindi non essere accompagnata da una rielaborazioni di reti e dall’implementazione dei sistemi locali di accumulo dell’energia.
Nell’ambito della applicazione del tema degli edifici ad energia zero, comincia ad emergere che solo da una ottimizzazione condotta alla scala di quartiere (suburbana) si possono ottenere risultati importanti con un ruolo importante svolto territorialmente dagli enti preposti.

I principi del nuovo modello energetico sono incentrati allo sviluppo di una società della conoscenza, all’efficienza energetica come strumento di politica ambientale e di tutela del patrimonio culturale, alla generazione distribuita dell’energia come chiave interpretativa della cosiddetta Terza Rivoluzione Industriale [7]. Gli edifici ad energia positiva sono, infatti, parte di una sovversione politica, economica, per giungere a un’era post-carbon che rappresenta il passaggio tra due periodi della storia economica: il primo caratterizzato dal comportamento industrioso e il secondo dal comportamento collaborativo. Se l’era industriale poneva l’accento sui valori della disciplina e del duro lavoro, sull’importanza del capitale finanziario, sul funzionamento dei mercati, l’era collaborativa è orientata all’interazione da pari a pari, al capitale sociale, alla partecipazione a domini collettivi aperti, all’accesso alle reti globali.

Consumo zero di territorio
Ogni anno in Italia vengono consumati 500 km2 di territorio. La superficie urbanizzata risulta almeno pari a 2.300.000 ettari, una estensione equivalente a quella di un paio di regioni italiane, corrispondenti al 7,5% del territorio nazionale e a più di 400 metri quadri per abitante. Il fenomeno ha avuto un esponenziale incremento negli ultimi 15 anni causato in primo luogo da carenze di pianificazione e da abusivismo edilizio, caratteristici del nostro Paese [8].
Occorrerà impostare una proposta concreta di incentivazione del riuso e della rifunzionalizzazione delle aree industriali e per la demolizione e ricostruzione delle aree residenziali degradate. Ciò deve essere fatto mediante strumenti appropriati e più efficaci di quelli esistenti: defiscalizzazioni, comodati d’uso, coerente utilizzo delle regolamentazioni degli usi civici e dei beni comuni, bonus di volumetrie e riduzione degli oneri di urbanizzazione per chi interviene su case e quartieri seguendo il principio di consumo zero di territorio. Questo è il modo per evitare il consumo di altro territorio e contemporaneamente riqualificare le zone di degrado e dismesse.
La rigenerazione si deve trasferire anche nelle città con un programma di recupero delle periferie che affronti la progressiva devastazione definita dall’edificazione esistente, a cominciare dal patrimonio pubblico, che proponga un effettivo adeguamento agli standard energetici e di sicurezza strutturale, che realizzi il recupero e la salvaguardia degli spazi verdi pubblici, che permetta una concreto adeguamento delle infrastrutture in termini di reti e di sottoservizi.

Le amministrazioni locali dovranno:
– determinare l’estensione massima di superficie agricola edificabile, con lo scopo di porre un limite massimo al consumo di suolo,
– impedire il cambio di destinazione d’uso per i terreni agricoli che hanno ricevuto aiuti comunitari,
– abrogare la normativa che consente ai Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente.

Salute sostenibile a malattia zero.

Va da se che il modo in cui l’energia e il cibo vengono prodotti e consumati e i rifiuti gestiti, ha una profonda influenza sullo stato di salute dell’essere umano. La maggior parte delle cause (o concause) di malattia e morte dipendono dall’ambiente, dagli stili di vita e di consumo e dai comportamenti, liberamente scelti o imposti. E’ indubbio lo stretto rapporto tra degrado ambientale, rischi per la salute e le nostre modalità di gestire lo sviluppo.

La crisi ambientale, la crisi della salute e la crisi dei valori sono strettamente correlate e interdipendenti. La salute si pone al centro della discussione anche a causa di un servizio sanitario che diventa sempre più insostenibile dal punto di vista finanziario. Il sistema risponde alla richiesta di salute con un numero sempre maggiore di prestazioni costosissime e tecnologicamente sofisticate, cercando di modificare la storia naturale della «malattia», che di per sé già significa «salute perduta», trascurando invece la prevenzione primaria da effettuare sia sull’ambiente inquinato e malsano che ci circonda, sia sugli individui, con una appropriata politica di informazione e di educazione sanitaria alla ricerca di uno stile di vita più semplice e sostenibile. Negli ultimi anni il modello tradizionale e gerarchico di sanità che si identifica con l’assistenza ospedaliera ha iniziato a vacillare non solo per l’alto costo energetico, tecnologico e di gestione ma anche per le profonde modificazioni epidemiologiche delle malattie. Tradizionalmente la patologia acuta ha visto svilupparsi una medicina di attesa che ha avuto uno sviluppo verticistico nell’ospedale, struttura dedicata sempre più recentemente alla elevata intensività di cure. L’ospedale è divenuto inefficace per il trattamento di malattie croniche sempre più diffuse e necessitanti di interventi multidimensionali di tipo sociosanitario. L’aumento della vita media con il progressivo invecchiamento della popolazione ha portato all’aumento delle patologie cronico-degenerative ed invalidanti, per le quali il modello di attesa tradizionale dell’ospedale è inadeguato; il baricentro assistenziale viene spostato nel territorio, con la necessità di intervenire sempre più efficacemente con interventi di prevenzione. La prevenzione diventa quindi il pilastro del modello distribuito della sanità nella medicina territoriale: non solo per la sua indiscussa valenza di promozione e mantenimento della salute, ma anche per una migliore utilizzazione delle risorse con conseguente abbattimento dei costi. Le nuove strategie per l’integrazione delle politiche di salute devono necessariamente tener conto della sostenibilità ambientale.

In un modello distribuito di medicina del territorio, i professionisti sanitari e i medici di famiglia, sono le figure centrali per realizzare una medicina proattiva. La medicina proattiva ha al centro la promozione della salute e la prevenzione.
La salute di una comunità è determinata da fattori socioeconomici e ambientali, dallo stile di vita e dall’accesso ai servizi. E’ evidente che solo il modello di medicina distribuito sul territorio che prevede la prevenzione al centro del sistema può garantire l’attuazione di quella ampia gamma di iniziative, progetti e politiche necessari per una efficace promozione della salute. Da qui la necessità di una strategia integrata tra organismi governativi e non, nei possibili ambiti di intervento territoriale: dall’azione dei medici nel territorio e nelle scuole, agli interventi delle amministrazioni pubbliche, attraverso attività formative basate su evidenze epidemiologiche. Il concetto di integrazione è fondamentale e deve essere sviluppato in un modello distribuito di territorio zero i cui caposaldi sono la medicina domiciliare e la telemedicina, cercare cioè di portare l’assistenza sempre più prossima al cittadino paziente. La medicina moderna diventata di iniziativa perché non deve essere più il cittadino paziente a rivolgersi al sistema ospedale ma deve essere il sistema territorio zero a prendere in carico il cittadino paziente in maniera proattiva cercando di prevenire l’evoluzione della malattia cronica.La sostenibilità del sistema salute in un modello distribuito non può prescindere da una integrazione con il sociale sul territorio in una logica Territorio Zero, secondo un modello distribuito che va applicato dunque non solo al modo in cui viene prodotto il cibo e l’energia e viene evitata la produzione di rifiuti al termine dei cicli di consumi, ma anche al modo in cui viene organizzata l’assistenza sanitaria sul territorio. In uno scenario distribuito di terza rivoluzione industriale non è immaginabile un modello sanitario basato sulla concentrazione come quello che ha prosperato durante la seconda rivoluzione industriale che va dunque superato una volta per tutte introducendo pratiche di prevenzione distribuite sul territorio piuttosto che pratiche di cura concentrate in pochi grandi centri.

Neocrescita: dalla finanza speculativa ad una crescita diffusa
L’espansione economica della seconda rivoluzione industriale, essendo basata su fonti il cui sfruttamento necessitava grandi investimenti finanziari, ha gradualmente reso l’economia reale strettamente collegata al sistema della finanza internazionale.
In un’ottica strategica diversa, a maggiore intensità di lavoro invece che di capitali, il peso dei mercati finanziari deve diventare progressivamente meno importante, mentre deve acquisire una importanza di gran lunga maggiore la formazione e valorizzazione del capitale umano.
Inoltre, essendo le economie di scala meglio raggiungibili secondo modelli orizzontali o laterali, la forma emergente d’impresa appare dunque logicamente essere quella delle reti di piccole e medie imprese interconnesse in forma comunitaria fra di loro e con le organizzazioni della società civile e le autorità locali e radicate sul territorio.
Queste sono le basi di quella che chiamiamo “neocrescita”, che significa crescere liberi, senza sprechi e con una forte riduzione delle diseguaglianze ottenute attraverso la modellazione locale del mercato finanziario e bancario. Questo significa imporre standard di finanza etica nel territorio della propria amministrazione locale in modo formale ed in informale (concessione di licenze), adottare misure attive di creazione di credito cooperativo, peer-to-peer lending, circolazione controllata di monete alternative, microcredito pubblico, sperimentazione di elementi della pop economy (share and swap) e la creazione di altre nuove forme di finanziamento sociale.
A livello nazionale ed europeo è necessaria un’azione spinta dalla coalizione degli amministratori locali perché si arrivi a ridefinire le regole del mercato finanziario, scoraggiando le forme d’investimento speculativo ed opaco (shadow finance, high frequency trading, paradisi fiscali), con misure specifiche.
TerritorioZero permette di pianificare le economie locali in modo da aumentare il valore intrinseco dei beni e servizi prodotti, sostituendo nel processo di valutazione economica, a volatili criteri di valutazione finanziaria, altri criteri concreti e misurabili, quali la qualità dell’ambiente, lo stato di salute dei cittadini e delle imprese, la floridezza della cultura locale, la sostenibilità dell’economia locale. Si mette fine così ad una serie di anomalie tipiche della crisi attuale (spirale perversa di consumismo, crescita parossistica dei consumi individuali con conseguenti sprechi energetici, produzione di rifiuti e distruzione della cultura agricola con un sistema opaco e complesso di promesse di pagamento spesso fondate su dubbie garanzie di solvibilità) [9].
TerritorioZero è un nuovo modello politico complessivo, che include la dimensione sociale ed economica, in cui valorizzare la qualità secondo una domanda equilibrata in contrapposizione alla quantità per un consumo imposto. In questo modo il sistema tecnico-economico verrà indirizzato naturalmente verso livelli che faranno la differenza rispetto alla qualità delle persone, dei luoghi, delle istituzioni [10], [11]. Cioè la differenza tra la libertà e la dignità che vogliamo e l’oppressione ed umiliazione che stiamo vivendo oggi in Europa e nel mondo.

Riferimenti
1. La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad un cibo salubre, culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi sostenibili ed ecologici, in forza del loro diritto a definire i propri sistemi agricoli e alimentari. Piano di Azione del World Food Summit, FAO, 1996.
2. Livio de Santoli. Le comunità dell’energia. Quodlibet, 2011.
3. Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Laterza, 2005.
4. Paul Connett, Patrizia Losciuto, Rifiuti Zero, una Rivoluzione in Corso, Dissensi, 2012
5. art. 12 della Direttiva 2008/98, Waste to Energy
6. www.eumayors.eu. Il Patto dei Sindaci è il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro impegno i firmatari del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020
7. Jeremy Rifkin, La Terza Rivoluzione Industriale, Mondadori, 2011
8. Ambiente Italia 2011, Il consumo di suolo in Italia, annuario di Legambiente elaborato dall’Istituto di Ricerche Ambiente Italia , Edizioni Ambiente, 2011
9. Manifesto degli Economisti Sgomenti, Minimum Fax, 2012
10. Amartya Sen, Lo Sviluppo è Libertà, Mondadori, 2000
11. Martha Nussbaum, Capacità personale e democrazia sociale, a cura di Gianfrancesco Zanetti. Diabasis, 2005.

TerritorioZero, 
Manifesto per una società ad emissioni zero, rifiuti zero e km zero.
Livio de Santoli, Angelo Consoli 

con la prefazione del Master dell’Università di Pollenzo e approfondimenti di:
1. Domenico de Masi,
2. Paul Connett,
3. Livio de Santoli,
4. Sergio Di Cori Modigliani,
5. Carlo Petrini,
6. Alessandro Politi,
7. Franco Purini,
8. Jeremy Rifkin,
9. Eric Toussaint

PER SOTTOSCRIVERE IL MANIFESTO COLLEGARSI QUI   E ANDARE A FONDO PAGINA.

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