SANSA – ALTERNATIVE AI SANSIFICI
SANSA – ALTERNATIVE AI SANSIFICI
Gli imprenditori capaci programmano per tempo le soluzioni per gli scenari che si possono determinare nei mercati in cui operano, in funzione delle modifiche alla legislazione e delle nuove opportunità economiche, per la valorizzazione dei sottoprodotti, compreso anche le possibili interruzioni delle filiere utilizzate, così mettendosi al riparo da eventuali crisi e soprattutto arrivando persino ad incrementare i propri margini di guadagno.
LO SMALTIMENTO DELLE SANSE
La sansa può essere utilizzata come mangime per le vacche. L’Università di Perugia sembra aver risolto i problemi legati all’appetibilità delle sanse da parte degli animali che non gradivano l’amaro tipico delle sanse d’oliva, pur conservando un buon tenore in polifenoli. Il progetto dell’Università di Perugia non prevedeva solo la creazione di un processo tecnologico, già per altro ben avviato da altri studi, per l’utilizzo mangimistico delle sanse ma la loro valorizzazione in un contesto zootecnico di qualità che conferisca quindi anche valore aggiunto al mangime contenente sansa. Le indagini preliminari hanno mostrato che le vacche nutrite con sansa producono un latte maggiormente ricco di polifenoli, antiossidanti naturali, che possono così dar luogo a derivati del latte (formaggi, yogurt) nutraceuticamente più validi a parità di caratteri organolettici.
La sansa può però venire anche utilizzata nel settore vivaistico, sostituendo la torba, materiale il cui costo sta alzandosi progressivamente. Un recente studio del Cra Oli di Rende ha permesso di verificare che non tutte le sanse sono uguali. Infatti dal raffronto tra sanse di Carolea, Nocellara messinese e Tondina, emerge che le piante cresciute in un substrato realizzato con sansa di Tondina sono più vigorose. Partendo da questo presupposto, confrontando il valore delle diverse sanse, è immaginabile valorizzare, laddove il territorio lo consenta per uniformità varietale, le sanse di quelle cultivar che possono andare a sostituire integralmente la torba quale substrato vivaistico.
Naturalmente è possibile anche produrre compost da utilizzarsi come ammendanti agricoli. L’utilizzo della sansa tal quale è tuttavia sconsigliabile in quanto il pH acido, l’elevato contenuto in polifenoli e la presenza di sostanze grasse limita le potenzialità del compost. Per ottenere il risultato sperato occorre quindi che al prodotto fermentescibile (sansa) venga affiancato uno dal potere strutturante. L’ipotesi di chiudere la filiera mediante l’utilizzo di sarmenti di olivo è da escludersi non coincidendo il periodo di potatura con quello di molitura.
L’Università di Perugia ha quindi ipotizzato l’uso dei raspi, sottoprodotti della filiera vitivinicola che vengono a originarsi poco prima dell’apertura dei frantoi. Il prodotto ottenuto al termine del compostaggio, durato circa 120 giorni, è un compost con un indice di germinazione pari al 100% al confronto del 59% del prodotto originario.
CONFERIMENTO AL SANSIFICIO
In passato il conferimento al sansificio è stata la destinazione classica delle sanse vergini. Nel sansificio le sanse vengono essiccate e quindi avviate all’estrazione con solvente (in genere esano) per il recupero della materia grassa residua (olio di sansa greggio). In tempi recenti il prezzo dell’olio di sansa ha subito un’importante flessione che, in certi casi, ne rende antieconomica l’estrazione. In particolare, il problema delle contaminazioni degli oli di sansa da idrocarburi policiclici aromatici (IPA) ha duramente compromesso quest’attività facendo precipitare il prezzo di quest’olio. Gli IPA nell’olio derivano dal contatto tra i fumi di combustione che li contiene e la sansa da avviare all’estrazione, durante la fase di essiccazione. D’altra parte, l’olio di sansa greggio deve essere raffinato e l’uso di carbone attivo rimuove completamente la frazione di IPA di elevata tossicità (IPA pesanti).
A parte questo importante problema, il settore accusava già da tempo maggiori difficoltà derivanti dall’accresciuto contenuto di acqua nelle sanse vergini, dovuto all’uso sempre più diffuso dei decanter a due fasi.
COMPOSTAGGIO
Sanse vergini
Le ricerche sinora svolte sono state condotte su miscele di sanse vergini con letame, segatura, paglia, polvere calcarea, allo scopo di migliorare la composizione finale (P. Amirante e
collaboratori, Università di Bari). I risultati sono stati incoraggianti: il processo conduce ad un compost con un livello di umificazione molto buono. È stato provato anche un altro metodo che trae vantaggio dall’uso di microrganismi non patogeni e non geneticamente modificati, che si nutrono della frazione grassa contenuta nella sansa (3-5%). Alla fine del ciclo (circa 40 giorni) si è ottenuta una sansa molto asciutta che, passata al vaglio, è utilizzabile in vari modi: la parte legnosa come mangime o in agricoltura .
LOMBRICOCOMPISTAGGIO
Merita ancora di essere citato tra i metodi di compostaggio il cosiddetto lombricompostaggio, attuato dalla ditta Ecoflor di Brescia. Il processo si avvale dell’opera di digestione della sostanza organica (deve contenere almeno l’1% di azoto) fatta da un particolare ceppo di lombrichi. In
realtà, essi sono in grado di trasformare quasi qualsiasi materia organica e producono compost
anche da scarti zootecnici, agroalimentari etc. Il prodotto finale ha ottime caratteristiche fertilizzanti ed ha caratteristiche generali che lo rendono facilmente utilizzabile.
Spandimento della sansa vergine in appezzamenti di terreno posti a colture diverse (girasole, olivo). È risultato che un terreno nudo destinato alla coltura del girasole, tollera quantità di sansa umida fino a circa 35 t/ha, mentre per quantità maggiori di 70 t/ha si hanno effetti tossici marcati. Al contrario, non si sono rilevati effetti negativi a carico degli olivi. Ulteriori prove condotte con quantità pari a circa 5 t/ha hanno mostrato un miglioramento delle caratteristiche chimico-fisiche del terreno (maggiori quantità di N, P e C organico totale) anche se si pongono problemi di omogeneizzazione con il terreno per la tendenza della sansa umida a formare grumi che danno un rilascio prolungato di sostanze fitotossiche.
A conclusione della sperimentazione è risultato preferibile procedere ad un preventivo compostaggio delle sanse umide prima dello spandimento sul terreno agrario.
Tra i vari progetti, in parte finanziati con fondi della Comunità Europea e volti all’impiego delle sanse come fonte di sostanze ad “alto valore aggiunto”, merita di essere ricordato quello condotto presso il Dipartimento di Tecnologia degli Alimenti dell’Università di Bonn (Germania).
La finalità è di utilizzare i biofenoli contenuti nelle sanse per applicazioni nel campo della “agricoltura biologica”. In particolare, si intende produrre un estratto biofenolico in acqua, o in un opportuno solvente organico, con ultrasuoni, frantumazione, fermentazione etc. L’estratto dovrebbe svolgere l’azione di un agente fitoprotettivo naturale idoneo a sopprimere quei microorganismi dannosi che ne risultassero sensibili.
Invece, i noccioli separati dalla denocciolatrice possono essere impiegati per estrarre dall’endosperma sostanze come l’oleuropeina o lo squalene per usi cosmetici o farmaceutici.
Recenti studi hanno prospettato la possibilità di avere alti recuperi di idrossitirosolo (3,4-diidrossi fenil etanolo) (IT) dalle sanse (“alperujo”) prodotte dai decanter a “due fasi”. Questo fenolo sembra abbia elevato potere antiossidante e antimicrobico anche in vivo. Si ottiene la solubilizzazione dell’idrossitirosolo con vapore saturo (temperatura massima, 240 °C; tempo massimo, 10 min) fino a quantità pari a 1.4 – 1.7 g/100 g di alperujo secco. L’ IT viene poi convenientemente purificato con un semplice ed economico metodo cromatografico oggetto di un recente brevetto.
Altri possibili impieghi come suggeriti dall’Istituto di Ricerche sull’Olivicoltura del CNR di Perugia ha proposto una tecnologia che prevede di processare i sottoprodotti del frantoio mediante una macchina che fornisca, alla fine del processo, un prodotto confezionato in sacchi, da impiegare come ammendante.
La macchina prevede la separazione dei noccioli dalla polpa/buccia delle sanse mediante centrifugazione, una vasca di premiscelazione con eventuali concimi azotati (correzione del rapporto C/N), una miscelazione e triturazione con rami e foglie provenienti dal frantoio e, in ultimo, l’insacchettatrice.
Presso il Dipartimento di Tecnologia degli Alimenti dell’Università di Bonn (Germania) è stato studiato anche la possibilità di impiegare le sanse come supporto per l’adsorbimento di inquinanti chimici contenuti nelle acque reflue.