BOMBA COME IL VAJONT

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BOMBA COME IL VAJONT.

Il 9 ottobre del 1963 rappresenta una delle pagine più nere della storia d’Italia.
Tutti gli italiani impararono inutilmente la geografia di un luogo che all’improvviso cessò di esistere, spazzato via da un’onda gigantesca. Dietro la tragedia della morte di più di duemila persone c’era la responsabilità di uomini che autorizzarono la realizzazione della diga più alta del mondo, nonostante l’evidenza della criticità del progetto. Eppure il Vajont dopo 54 anni non ha ancora insegnato niente. Non ha insegnato niente agli uomini delle autorizzazioni, come in Abruzzo Rigopiano ci ha tragicamente ricordato. Non è più possibile aspettare nuove tragedie, per continuare impotentemente a scoprire, solo dopo che avvengono, di chi è la colpa, ogni volta girando pagina, confidando nella futura onestà e trasparenza della nostra classe dirigente. Le disgrazie vanno prevenute soprattutto quando c’è il rischio che sia la mano dell’uomo a provocarle. È questo che ha decretato il Consiglio di Stato per l’estrazione di idrocarburi sotto il lago di Bomba, con una sentenza che ha accolto le responsabili osservazioni delle associazioni, in nome del principio di precauzione. Il motivo è che il progetto estrattivo di Bomba è stato considerato incompatibile con l’incolumità delle popolazioni a valle della diga per il rischio di un suo cedimento non escludibile come conseguenza della subsidenza.
Purtroppo però In Italia non basta una sentenza del Consiglio di Stato. Il governo ha deciso che quel progetto deve andare avanti comunque e la Regione Abruzzo, trincerata dietro una vergognosa bandiera bianca, recita la parte di chi non può ostacolare l’iter ministeriale, arrivando incomprensibilmete a favorirlo, nonostante l’avversione dei cittadini. La diga del Vajont in tempi assai diversi e con diverse modalità ha avuto un percorso autorizzativo che prescindeva dalle popolazioni che interessava, in nome della strategia energetica nazionale. Anche Bomba è un progetto ritenuto strategico per la nazione, la strategia dettata dalle lobbie petrolifere, sconfitta dalla mobilitazione popolare. Anche per Bomba, come per il Vajont, del destino delle decine di migliaia di persone che vivono e lavorano a valle della diga non frega niente a nessuno. Né a Gentiloni né a D’Alfonso. Nonostante una sentenza del Consiglio di Stato. E allora, con la forza di un urlo, in nome di quella geografia spazzata via per sempre, in nome del dolore procurato nel cuore dei sopravvissuti della Valle del Vajont, oggi 9 ottobre 2017, in attesa del prevedibile parere del Comitato Nazionale VIA, vorremmo che arrivasse a tutti la nostra enorme preoccupazione. Se la diga su terrapieno del lago di Bomba dovesse cedere, con i suoi 80mln di mc d’acqua, sono pronti Gentiloni e D’Alfonso ad assumersene la responsabilità politica? O le scaricheranno sui dirigenti e i funzionari che hanno istruito a dovere per le autorizzazioni? Confidiamo nella virtù della resipiscienza prima di quella che si profila come una battaglia in tutto simile a quella combattuta contro Ombrina. Non sarà l’acqua a spazzarci via, ma saremo noi cittadini a spazzare via questa classe dirigente indegna del proprio ruolo.
Che il Vajont ci aiuti!

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